Per la rubrica L’angolo delle storie, oggi vi presentiamo il racconto di Leonardo Favale


A una mente e a un corpo in pezzi.

Nessuno s’avvicini.

Senza l’alto privilegio. Di avere sofferto altrettanto.

Emily Dickinson

Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza.

I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.

Khalil Gibran

Si fa fatica a narrare una storia prima di vederne la fine. Per questo ho atteso 12 anni. Per questo ho atteso una diagnosi.

Sento il bisogno di parlare liberamente della mia patologia, e non si tratta di protagonismo né di credersi imbattibili, anzi. E’ piuttosto un volersi sentire umani, mortali, in ogni modo capaci di reagire.

 

Parlare della malattia non è mai semplice. Spesso le parole sono così opprimenti che non riesci nemmeno a spiaccicarle. Quando l’inimmaginabile ti arriva addosso senti che non sarai in grado di affrontarlo, che vincerà lui. Ma se riesci a non cadere del tutto come sua preda, se riesci a non cedere alle lusinghe della sottomissione, puoi iniziare a ritenere che invece no, lui non deve vincere, inizi a crederci e guardare solo il bersaglio, la fine.

 

Non dormo da mesi. Non ci provo neanche più a soggiogarla, l’insonnia. Quando spalanco gli occhi e vedo che sull’orologio sono l’una, le due, le tre, mi alzo direttamente ormai, non tento neanche più a riaddormentarmi.

 

Sono un tipo fragile. Adotto precauzioni sorprendenti contro i raffreddori, gli sforzi, i cibi pesanti, l’alimentazione sbagliata, le correnti, le stanze surriscaldate, i viaggi in treno, i luoghi affollati, perché non riesco mai a stabilire con precisione quale di questi fattori provochi in me quegli atroci mal di testa che trasformano la mia vita in una esperienza calamitosa.

 

E’ noto che chi soffre di mal di testa è dotato di un cervello particolare perché consuma più energia di quella che possiede come riserva. Il suo cervello è sempre all’erta, dunque è un soggetto oltremodo produttivo, sensibile, in grado di farsi carico dei problemi altrui, spesso non pensando a se stesso, e pagando quest’ampia disponibilità con forti dolori.

 

Sono fibromialgico di lungo corso. Credete non sappia quanti disagi mi tormentano, come a me mal s’adatti il mio corpo? Ora mi fa male lo stomaco, ora la schiena, ora la gola; dolori, acufeni, amnesie, fatica, brividi, concentrazione disturbata, angoscia, ansia, stress mi accompagnano ogni giorno; perdo la memoria e mi ossessionano le cose da fare; mi desto come un pugile al tappeto, e poi ho difficoltà nella minzione, difficoltà a esprimermi, dolore dappertutto, intolleranza al rumore, alla luce, perdita di forza, di capelli, confusione, eccesso di muco, prurito agli avambracci alle gambe al petto, troppo caldo o troppo freddo, gambe senza riposo, visione doppia, sensibilità chimica, sudori abbondanti, vertigini, depressione e mille altri dannati malanni. Ho un corpo leso che non sanguina, cosa piuttosto ardua da spiegare. Ma soprattutto mi sento solo, solo su una zattera abbandonata alla tempesta.

 

La prima volta che ebbi tra le braccia mio figlio un capogiro ci mandò al tappeto. Sono stato pallavolista, torrentista, maratoneta, calciatore, pellegrino sui Cammini di Santiago e le Vie Francigene, pastore “laico” sulle vie della transumanza. Il mio corpo era armonioso come una cattedrale. Oggi concludo a stento una lezione di ginnastica dolce e rientro da lavoro che somiglio a un fantasma.

 

Talvolta la vita mi spaventa. Mi impaurisce anche solo quello che occorre fare per la mia cura quotidiana. Così resto seduto a pensare a nulla, tanto la vita è sempre lì fuori ad aspettarmi ma per un po’ almeno non mi dà tormento.

 

A volte mi fanno soffrire i nervi, a volte i tendini, ora la diarrea, ora gli occhi, ora la stipsi. Il dolore mi devasta, le ossa mi dolgono, gli organi mollano, la testa mi scoppia. Posso riparare il danno, alleviare il dolore. Però quando la vita va in frantumi, quando io vado in frantumi, non c’è rimedio, non ci sono alternative, posso soltanto procedere al buio.

 

Sono stanco. Soprattutto di chi non mi capisce, pronto a dare consigli e conforto per un dolore che non prova e non comprende. Stanco di chi ti chiede un sorriso senza proteggerti dai tormenti che te lo tolgono. Stanco di tutto il dolore e lo smarrimento che sento, ce n’è troppo per me. È come avere degli stiletti conficcati nel cervello sempre, continuamente. La morte non è una cosa così seria; il dolore, sì.

 

Mi dolgo del tempo prezioso speso inseguendo una diagnosi ormai chiara, del tempo dedicato agli altri togliendolo alla cura di me stesso, al sorriso, al movimento, alla speranza. Ma tant’è.

 

 

Chi però abbia come me dolori così ampi da gemere fino a prosciugarsi le lacrime, sa bene che ad un certo punto si arriva a una specie di tranquilla tristezza, una specie di calma, quasi il convincimento che non accadrà più niente. E’ questo il momento in cui acquisti la consapevolezza che dovrai conviverci tutta la vita. E così ti rassegni e non ti resta che abbracciarlo, quel dannato dolore. E bruciarlo come combustibile per il tuo viaggio. Infatti benché sbattuto e gettato qua e là, come accade a chi non ha una casa propria; benché mi sia toccato in sorte un corpo tanto difettoso, desidero fare progetti come ogni altro essere umano, lavorare, mettere al mondo figli, viaggiare, sognare e spingere le mie speranze fino all’estremo limite della vita. Voglio guarire.

 

Sentinella, quanto resta della notte? Quanto, perché la mia malattia abbia termine e possa riguadagnare i gesti del passato, riabilitare i vecchi sogni, saltare di roccia in roccia come quando ero torrentista? So che la mia notte difficilmente finirà, ma posso riattivare la possibilità, da tempo sopita, di riempire quel tempo d’attesa, di non rimanere inerte, in modo che quell’andare possa essere esso stesso guarigione. Forse è proprio così che devo vivere questa notte, provando a colmarla con un esercizio vigile, con una corretta gestione della malattia, convincendomi che l’unico modo per vincere è imparare anche a perdere, perché è chiaro che il benessere di ieri non tornerà più, ma che quando mi sarò finalmente sbarazzato delle paure, quando sarò uscito del tutto dal mio guscio, l’esercizio svolto mi avrà reso più preparato, pronto per ricomporre i pezzi della mia vita e cancellare l’orrore del passato.

 

La cosa più complicata dopo la diagnosi è aver realizzato di non aver più controllo sul mio tempo. Tutto sembrava essere nelle mie possibilità, fino a quando nella mia vita non è entrata la fibromialgia, ma lo stesso vale quando ti muore una persona cara, quando hai un incidente casuale, quando un amore finisce, quando cioè la linea del tempo va in mille pezzi. L’impatto con una situazione imprevista scombussola il passato e il futuro, o meglio l’idea di futuro che immaginavo per me. E’ così che a un certo punto scopri quanto il tuo tempo sia prezioso, per cui non bisogna più sprecarlo vivendo la vita di un altro. Scopri inoltre che soffrire senza lamentarsi è l’unica lezione che puoi imparare in questa vita. Comprendi infine quanta vita si può trovare quando la nostra vita è in pericolo.

 

“E così cominciai una nuova vita, con un nuovo nome e tutto nuovo intorno a me. Mi sentivo come immerso in un sogno. Il ricordo della mia vita di un tempo è talmente privo di speranza che non so più se sia durato un anno, o di più, o di meno. So soltanto che è stato, ed è cessato, e io lo lascio indietro”.

 

A tutti i malati che sono guariti, a quelli che soffrono senza un lamento, a quelli che aspettano, a quelli che hanno compreso, a tutte le persone che vogliono guarire. A G.F. che ha vinto la battaglia in modo esemplare. Alla mia famiglia.

(Leonardo Favale)

Foto di Comfreak da Pixabay