La non chiara definizione eziologica e la mancanza di esami strumentali specifici hanno per anni reso difficile un accordo nella comunità scientifica nonostante dal 1976 si siano susseguite molteplici proposte classificative da parte di svariati gruppi di ricerca mondiali. Solo alla fine degli anni ‘80 un imponente studio promosso dall’American College of Rheumatology, valutando ben 558 pazienti, culminò con la pubblicazione nel 1990 dei definitivi criteri classificativi della Sindrome Fibromialgica.
I criteri si basavano sul riscontro di una storia di dolore diffuso da almeno tre mesi e sulla valutazione clinica dei tender points. Tali criteri classificativi, utilizzati spesso nella pratica clinica come diagnostici, non tenevano, però, in considerazione le componenti cognitive della sindrome, la facile affaticabilità e la stanchezza spesso riferite dai pazienti. Inoltre, nella pratica comune, spesso pazienti chiaramente affetti dalla sindrome fibromialgica all’esame obiettivo non presentavano dolore in più degli undici tender points necessari per porre diagnosi. Infine, tale classificazione rendeva impossibile stratificare la gravità dei sintomi del paziente e, quindi, verificare l’eventuale miglioramento o peggioramento degli stessi nel tempo. Per queste ragioni nel 2010 sempre sotto l’egida dell’American College of Rheumatology sono stati pubblicati i primi veri criteri diagnostici per la sindrome fibromialgica.
Dolore, stanchezza, qualità del sonno, alterazione della memoria e della capacità di concentrazione vengono questa volta considerati grazie a due diversi questionari compilati direttamente dal paziente. Nel primo chiamato WPI (Widespread Pain Index) il paziente deve indicare in quali parti del corpo ha provato dolore nell’ultima settimana suddividendo il corpo in diciannove aree, mentre nel secondo, chiamato QSS (Questionario Severità dei Sintomi), si chiede al paziente di indicare con una scala da 0 a 3 il grado di stanchezza, i disturbi del sonno e le alterazioni della memoria o della capacità di concentrarsi. Dopo aver valutato l’impatto di tali sintomi cognitivi sulla vita del paziente il questionario indaga sulla presenza in modo stabile negli ultimi tre mesi di ben 41 sintomi somatici e non (dolore muscolare, colon irritabile, fatica/ stanchezza, problemi di concentrazione o memoria, debolezza muscolare, mal di testa, dolore/crampi addominali, intorpidimento / formicolii, vertigini, insonnia, depressione, stitichezza, dolore alla parte superiore dell’addome, nausea, nervosismo, dolore toracico, vista sfuocata, febbre, diarrea, bocca secca, prurito, respiro sibilante, F. di Raynaud, orticaria/ pomfi, ronzii nelle orecchie, vomito, bruciore di stomaco/esofago, ulcere orali, perdita/alterazione del gusto, convulsioni, occhi secchi, mancanza di fiato, perdita di appetito, rossore/eritema, ipersensibilità al sole, difficoltà di udito, facilità alle ecchimosi, perdita di capelli, minzione frequente, minzione dolorosa, spasmi vescicali).
La compilazione dei due questionari direttamente da parte del paziente non significa che tali criteri debbano essere considerati come un facile metodo di auto-diagnosi, quanto, piuttosto, uno strumento in grado di aiutare il medico nel processo diagnostico. I nuovi criteri sembrano essere in grado di abbracciare tutti gli spettri di una patologia complessa e variegata come la fibromialgia, anche se, come affermato dagli stessi autori della pubblicazione, sono da ritenersi ancora criteri preliminari e pertanto migliorabili con ulteriori studi.
Alberto Batticciotto