Presso il servizio di rieducazione funzionale dell’Ospedale di Saronno, da circa cinque anni vengono da me seguite dalle quaranta alle cinquanta persone all’anno affette da sindrome fibromialgica.
Il trattamento consiste in una presa in carico globale di mediazione fra intervento fisioterapico e relazione di cura usando come strumento di base il massaggio bioenergetico dolce di Eva Reich, figlia e allieva di Wilhelm Reich, padre della bioenergetica. Si tratta di un massaggio lieve per tutto il corpo a partire dal capo che faccio alle pazienti prima in posizione supina poi prona accompagnato da una musica di sottofondo per aumentare l’effetto rilassante. Lo scopo di questa tecnica è quella di far sperimentare sensazioni piacevoli che arrivano dal corpo per permettere alle persone affette da dolore cronico di ritornare a percepire il corpo come fonte di piacere, non solo di dolore, e per arrivare ad una riappacificazione con esso.
Il dolore cronico rende il corpo oggetto, oggetto rotto, frammentato, dipendente dalle cure di altre persone (parenti, medici, operatori sanitari, ecc.) estraneo a noi stessi e nostro nemico. Le persone con dolore cronico necessitano di riappropriarsi del proprio corpo, percepirlo nel suo insieme come unità e sentirlo ancora amico nella capacità di ridare sensazioni piacevoli. Inoltre il rilassamento provocato dal massaggio toglie anche le contratture che sono generate da ansia e tensione. Dal punto di vista organico si attuano assieme con il desiderio ed il piacere una serie di processi neuroendocrini utili per il buon funzionamento del corpo stesso. La moderna ricerca in neurobiologia ha evidenziato che esistono aree del corpo che presentano un’alta concentrazione di neuropeptidi (molecole messaggere delle emozioni) e di agenti chimici fra i quali le endorfine che sono distribuite a macchia nel corpo. Attraverso la stimolazione tattile di queste zone, i neuropeptidi attivati invierebbero messaggi all’ipotalamo e al sistema immunitario che a loro volta invierebbero processi di guarigione, regolerebbero il sonno e le funzioni respiratorie.
Una volta poste le pazienti in una condizione di benessere fisico col massaggio e in un setting di accoglienza ed accadimento, inizio un lavoro di counselling usando strumenti semplici come ad esempio la scrittura autobiografica, in modo che possano raccontare parti della loro storia e che si abituino all’uso di uno strumento che può essere autogestito nell’esperienza quotidiana. Abituo le signore a dialogare col proprio dolore e con la propria malattia cronica venendo a patti con essa e contemporaneamente rinforzo le parti vitali che emergono (riemergono spesso i desideri con un lavoro di relazione di cura al di là della sofferenza cronica e della conseguente depressione).
La sofferenza fisica richiede di essere accolta, lenita ma anche inserita in racconti reali per costruire il senso, divenire riconoscibile, trasformarsi in risorsa. Il paziente non è solo riducibile alla sua malattia, c’è dell’altro: vissuto e rappresentazione che ha della propria malattia, ha bisogno di sentirsi accolto e riconosciuto, ovvero curato nella sua totalità di essere umano.
Gli obiettivi che mi pongo col lavoro relazionale sono quelli di porre le persone in contatto con la propria storia per condurre alla consapevolezza che la loro non è solo storia di malattia, aiutandole a recuperare un prima dell’evento patologico per far riemergere interesse ed investimenti e cogliere cosa possa essere ancora vissuto ed integrato.
In questi anni ho sperimentato anche due lavori di counselling di gruppo con l’uso di tecniche attive (gioco di ruolo, improvvisazione teatrale, disegno collage, ecc., cioè tecniche incentrate sull’azione che tendono a dare visibilità alle dimensioni del mondo interiore della persona) e tecniche psicodrammatiche: inversione di ruolo, doppio, specchio, sedia vuota, soliloquio, sospensione della risposta. La sofferenza raccontata, condivisa, messa in forma con l’uso di tecniche artistiche ha trovato altri sensi, altri significati e altri modi di essere vissuta. L’esperienza dei gruppi ha fatto emergere anche problematiche più complesse e ha aperto la strada al ricorso a interventi di psicoterapia per alcune persone partecipanti. Ha inoltre reso consapevoli i partecipanti dell’azione terapeutica del gruppo; da questa esperienza è nata la sessione dell’AISF Insubria di Saronno ed il gruppo di auto-aiuto ad essa collegato.
Purtroppo, per ora, il lavoro di gruppo è rimasto a livello di sperimentazione per l’esistenza di troppi intoppi burocratici nell’istituzione per curare una malattia che non è ancora riconosciuta a livello di SSN. Mi auguro che le associazioni non si stanchino di battersi per ottenerne il riconoscimento e che le loro richieste vengano accolte.
I risultati emersi dal lavoro di questi cinque anni sono: la riduzione dell’ansia, il recupero di un sonno ristoratore e la diminuzione del dolore; dal punto di vista psicopedagogico il passaggio dalla condizione iniziale delle pazienti che era ”toglietemi questa malattia” a quella attuale che è ”posso fare qualcosa per stare meglio, pur avendo questa malattia.” E da ultimo la riconferma di un approccio multidisciplinare per la cura della sindrome fibromialgica.
Ornella Barni
Counsellor relazionale sistemico e a mediazione artistica
Terapista della riabilitazione