Roma 23 Settembre 2009 ore 17.30 Palazzo Marini – Sala delle Colonne
Hanno partecipato alla Conferenza in qualità di relatori:
• Rita Maria Melotti (Membro della Commissione Ministeriale sulla terapia del dolore e cure palliative)
• Piercarlo Sarzi-Puttini (Direttore U.O. Complessa di Reumatologia, A.O. Polo Universitario “L.Sacco” di Milano )
• Matilde Ferrieri (Paziente)
Ha introdotto e coordinato:
• Francesca Merzagora (Presidente O.N.Da. – Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna).
Breve report dell’evento
La partecipazione alla conferenza è stata di circa 60 persone (la maggior parte pazienti), erano presenti tra il pubblico: Manuela Di Franco (Dipartimento di Clinica e Terapia Medica, Cattedra di Reumatologia – Università La Sapienza di Roma), la Coordinatrice dell’Ordine dei Medici della Provincia di Roma e medici interessati alla patologia.
La Presidente di O.N.Da., Francesca Merzagora, ha sottolineato che per “la piazza romana” l’ adesione è stata molto soddisfacente.
Rita Maria Melotti ha sostituito Guido Fanelli, che non ha potuto partecipare a causa di impegni improrogabili,
Come A.I.S.F., ella ci ha esortato nel continuare le nostre attività volte al riconoscimento della fibromialgia, come malattia cronica invalidante da parte del Ministero della Salute.
Al termine della conferenza parecchie pazienti si sono fermate per parlare con i relatori.
Relazione di Rita Maria Melotti
Il dolore mina l’integrità fisica e psichica delle persone, angoscia e preoccupa i familiari, ha pertanto un notevole impatto sulla qualità della vita, la capacità lavorativa e le relazioni sociali.
Il dolore è presente nel 96% delle persone con patologia oncologica in fase avanzata mentre il dolore non oncologico ha un’incidenza circa del 25-30% nella popolazione generale (Pain in Europe. EJP 2006), ecco perché il dolore rappresenta “un’emergenza” sanitaria.
In Italia si registrano significativi ritardi nella terapia del dolore, evidenziati dalla forte resistenza all’impiego di farmaci analgesici oppioidi nel trattamento del dolore severo.
Gli indicatori impiegati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la misurazione della qualità della vita e dell’adeguatezza dei trattamenti per curare tutti i tipi di dolore vi sono, tra l’altro, le dosi pro-capite di morfina e farmaci oppioidi.
Sebbene in Italia si sia registrato, tra il 2006 e il 2007, un aumento del consumo di farmaci oppioidi, sia come confezioni vendute (circa +13%) sia come spesa pro-capite rimborsata dal SSN (da 0,35 euro a 0,67), l’Italia rimane tra gli ultimi paesi in Europa nella classifica per consumo di questa categoria di farmaci. L’insufficiente prescrizione di questi medicinali è dovuta principalmente alla scarsa cultura del medico e alla necessità di ricorrere ad un ricettario speciale. Quest’ultimo ostacolo è stato superato dall’ordinanza di giugno del Viceministro Fazio per la semplificazione della prescrizione degli oppiacei .
La risposta assistenziale nel nostro Paese è ancora scarsa e lacunosa, nonostante l’emanazione in passato di atti normativi quali la Legge 39/99, che prevedeva in ciascuna Regione la realizzazione di strutture dedicate all’assistenza palliativa e di supporto, e il progetto “Ospedale senza dolore”.
In particolare si è creato un vuoto assistenziale sulle tematiche riguardanti il dolore, nelle forme croniche e in quelle relative alla fine della vita, con particolare sensibilità in ambito pediatrico.
L’equità di accesso alla Terapia del dolore non è garantita. Mancano reti regionali strutturate di terapia del dolore, i centri e gli ambulatori di terapia antalgica presentano caratteristiche diverse, con una disomogenea distribuzione sul territorio senza percorsi strutturati condivisi con i Medici di medicina generale (MMG) e i Pediatri.
Il dolore non è uno dei parametri normalmente misurati negli ospedali, come la pressione del sangue o la temperatura, e non viene riportato in cartella clinica come accade già dal 2001 negli Stati Uniti.
La terapia del dolore e le cure palliative non sono tra gli insegnamenti “obbligatori” del Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia e delle professioni sanitarie.
Non vi è un percorso formativo professionalizzante per le cure palliative dal 96 è strutturato il percorso formativo di Terapia del dolore nell’ordinamento didattico della Scuola di Specializzazione in “Anestesia Rianimazione e Terapia Intensiva”
La mancanza di una formazione di base condivisa, seppur differenziata per competenze, tra i differenti professionisti che operano sul territorio e nelle strutture ospedaliere, ostacola ulteriormente la definizione e l’attuazione di percorsi assistenziali per le principali patologie dolorose.
Al fine di fornire risposte al complesso delle problematiche relative alle cure palliative e alla terapia del dolore il Ministero ha elaborato un nuovo modello assistenziale.
In particolare è stato individuato un modello organizzativo integrato nel territorio nel quale il livello assistenziale viene scomposto in tre nodi complementari: i centri di riferimento di terapia del dolore (hub), l’ambulatorio di terapia antalgica (spoke) e l’Aggregazione Funzionale Territoriale (AFT) di Medici di Medicina Generale (MMG).
Alla base del modello,condiviso con le rappresentanze dei MMG, vi è dunque la creazione di una rete di AFT in grado di fornire na prima risposta concreta alle esigenze dei cittadini, fungendo da “triage” per i centri hub e spoke, riducendo anche il ricorso al pronto soccorso per la cura del dolore. Per rispondere alle particolari necessità dell’area pediatrica, si prevede un’ulteriore declinazione del modello basata sull’organizzazione di centri di riferimento di terapia del dolore pediatrici (hub) su macroarea atti ad affrontare problemi specialistici, e l’abilitazione di pediatri ospedalieri e di libera scelta (in rete con il centro di riferimento) alla gestione della gran parte delle situazioni dolorose di più facile trattamento.
L’introduzione del nuovo modello assistenzialeprevede in via sperimentale nell’anno 2009il coinvolgimento di quattro Regioni, Lazio, Emilia Romagna, Veneto e Sicilia con il coordinamento della regione Emilia Romagna.
La prima fase del progetto è formativa ed ha l’obiettivo di migliorare l’approccio al paziente con dolore acuto e cronico da parte dei MMG e dei pediatri attraverso:
– La creazione di formatori (FF) MMG e pediatri che devono acquisire le competenze per formare a loro volta i medici di medicina generale e pediatridell’area sede di sperimentazione. I “formatori” saranno selezionati in collaborazione con le principali associazioni di categoria
– Per ogni area di sperimentazione: 1 ogni 50 MMG e pediatri dell’area prescelta, utilizzando i criteri della disponibilità e delle competenze formative. Questo processo assicurerà una adeguata assistenza ad oltre 4.000.000 di cittadini nelle regioni coinvolte dalla sperimentazione.
– L’elaborazione di un prototipo di guida a rapida consultazione, aggiornabile, basata su schede diagnostico-terapeutiche con algoritmi e flow-chart, per supportare l’attività assistenziale dei MMG e dei pediatri.
L’area di sperimentazione èidentificata in base alla presenza di centri di terapia del dolore che esercitano funzioni di Hub.
E’ stato costituito un gruppo di progetto, composto da esperti di terapia antalgica, cure palliative e di formazione, che ha predisposto i pacchetti formativi, gestirà i corsi di formazione e ha elaborato la bozza-prototipo della guida a rapida consultazione.
Il gruppo di progetto ha stabilito di adottare per l’identificazione dei centri Hub i requisiti di accreditamento elaborati dalla Regione Emilia Romagna che coordina il progetto.
Il Progetto formativo si struttura su tre moduli:
• Il train to trainer, l’autoformazione ed eventualmente i role playng.
• La formazione a distanza, che può comprendere l’autoformazione.
• L’aggiornamento del processo attraverso forme di implementazione culturale e di aggiornamento organizzativo in e-learning.
La legge, che è appena passata alla camera e approderà a giorni al Senato , rappresenta una svolta significativa per il nostro paese:
1 tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alle terapie del dolore,
2 istituisce la rete cure palliative e la rete della terapia del dolore ,
3 permette per monitorarne e valutarne l’efficienza e l’efficacia delle reti istituisce un Osservatorio per raccogliere ed analizzare specifiche informazioni sulle strutture esistenti, sulla loro organizzazione, sulle prestazioni erogate e sulla loro qualità.
Relazione di Matilde Ferrieri
Sono Matilde Ferrieri, consigliere dell’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica A.I.S.F. Onlus. Ho l’incarico di mantenere i rapporti con ENFA (Il network delle Associazioni europee di fibromialgia, con sede a Bruxelles) e pertanto con le Associazioni all’estero.
Oggi sono qui per dare voce alle donne affette da fibromialgia!
Ho 55 anni e soffro di dolore cronico da 20 ma ho avuto la diagnosi solo nel 2003.
Questo lungo percorso per arrivare a una diagnosi certa fa capire quale sia l’impatto sociale sulla vita delle donne affetta da tale sindrome.
Questa malattia, della quale oggi certamente si parla molto più di vent’anni fa, è ancora quasi sconosciuta ai medici di base ai quali il paziente si rivolge in prima battuta e, solo da pochi anni, in Italia è aumentato il numero di reumatologi che si interessano a questa sindrome. Secondo le statistiche ogni donna fibromialgica vede mediamente 7-8 medici prima di arrivare alla diagnosi. Anni di dolore, insonnia, stanchezza che non migliora con il riposo, difficoltà di concentrazione e disturbi della memoria a breve termine, peregrinazioni da un medico all’altro prima di arrivare alla diagnosi e quindi a una cura, isolamento sociale e incomprensioni portano la paziente a una depressione reattiva alla malattia.
Vorrei porre l’accento sul fatto che periodi lunghissimi di dolore cronico senza terapia fanno si che la paziente si assenti frequentemente dal lavoro, non riesca ad adempiere alle sue occupazioni quotidiane, a prendersi cura della famiglia e a vivere una vita sociale normale. L’impatto economico per quanto riguarda il lavoro è quindi pesantissimo e altrettanto pesante è la spesa a carico delle Aziende Sanitarie e, non ultimo, l’esborso di denaro che il malato stesso deve sostenere per abbreviare i tempi di attesa pagando per visite in regime di libera professione.
I medicinali per la cura della fibromialgia sono totalmente a carico del paziente in quanto la sindrome non è ancora riconosciuta come malattia cronica invalidante dal nostro Ministero della Salute.
Sono molte le donne che hanno perso il posto di lavoro perché hanno superato il comparto massimo di assenza per malattia, le più giovani non riescono spesso a concludere il ciclo di studi e a inserirsi nel mondo del lavoro.
Io stessa ho lasciato il lavoro 3 anni fa, ed era un’occupazione che amavo, ero tecnico di chimica presso un Istituto per Periti chimici e lavorare con gli studenti mi gratificava. Purtroppo stare in piedi in laboratorio tutta la mattina mi era diventato impossibile.
La fibromialgia non si vede, siamo quindi malati invisibili agli occhi della gente e dei medici che non conoscono questa sindrome.
Nella maggior parte dei casi la donna si trova a vivere una situazione di incomprensione da parte del medico di famiglia e molto spesso dei suoi familiari. Entrambi sono portati a pensare che si tratti di un dolore immaginario e quindi che la paziente debba essere seguita da uno psichiatra.
Cerco di aiutare i malati indirizzandoli da reumatologi esperti affinché il loro percorso non sia lungo e deprimente come è stato il mio.
Io seguo le pazienti nei vari iter che riguardano la previdenza e l’assistenza e vivo quotidianamente l’umiliazione e lo stress a cui sono sottoposte le persone in occasione delle visite per l’ottenimento dell’invalidità civile o per quanto riguarda le richieste di essere adibite, nel loro ambiente di lavoro, a mansioni meno pesanti dal punto di vista psico-fisico.
La malattia, non essendo riconosciuta dal Ministero della Salute, non ha una classificazione ben definita presso le Commissioni invalidi che valutano i pazienti, quindi la percentuale di invalidità che i malati riescono a ottenere è sempre troppo bassa per potersi rivolgere al Servizio per l’Integrazione Lavorativa (SIL) delle Aziende Sanitarie al fine di essere reimpiegati in un lavoro adatto alla loro patologia.
La mia vita, come quella di moltissime donne, ha un “buco nero” di ben 14 anni, poi finalmente la diagnosi! Gli anni più importanti della vita di una giovane donna sono andati in fumo; mi ritengo comunque “fortunata” perché ho sviluppato un carattere positivo, solare e combattivo.
La fibromialgia: le dimensioni del problema
Visualizza le slide della presentazione del Professor Piercarlo Sarzi-Puttini