Dopo aver lottato tanti anni per il riconoscimento della fibromialgia e il suo inserimento all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza (obiettivo in dirittura d’arrivo, per lo meno per le forme più severe di FM), un altro aspetto fondamentale su cui ci stiamo impegnando è ottimizzarne la gestione terapeutica. La nascita di associazioni di pazienti e/o di professionisti (come ad esempio AISF) che si occupano di questa patologia credo abbia reso più diffusa ed efficace l’educazione del paziente alla sindrome e la sua capacità di autogestire molti dei sintomi presenti.

La fibromialgia è nata come sindrome inserita tra le sindromi dolorose, appannaggio della reumatologia, ma chiunque abbia esperienza con questi malati si rende conto che la gestione affidata al singolo specialista è insufficiente e non conclusiva. Il grande sforzo compiuto dalla reumatologia è rimasto indissolubilmente legato alla creazione di criteri classificativo-diagnostici, prima quelli realizzati nel 1990 (Criteri ACR 1990) e successivamente quelli del 2016 (Criteri ACR 2016), che consentono anche ai meno esperti di giungere alla diagnosi attraverso una attenta valutazione clinica. È ovvio che la mancanza di marcatori specifici diagnostici di laboratorio (o di imaging) rende il quadro diagnostico meno sicuro e obbligano il medico a una accurata diagnosi differenziale. Ma una volta confermata la diagnosi, è la storia clinica del paziente a dettare legge: occorre indagare la forma fisica del paziente, come si alimenta, le eventuali intolleranze e/o allergie, gli eventuali traumi subiti, gli aspetti psicoaffettivi, ecc.. allo scopo di individuare quale sia il percorso migliore per aiutare il paziente e i caregiver ad affrontare il problema. Pertanto, un gruppo di professionisti che siano esperti di questa sindrome rende sicuramente più corretta e appropriata la strategia terapeutica.

A mio avviso, le figure indispensabili nel trattamento della FM sono: il medico (reumatologo, algologo, neurologo, ecc.. purché esperto di questa patologia) per la conferma della diagnosi, la prescrizione delle strategie farmacologiche e l’illustrazione delle strategie non farmacologiche; lo psicologo, affiancato allo psichiatra nei casi più complessi, per affrontare le mille problematiche della salute mentale che si evidenziano; il fisiatra e il nutrizionista per gestire il fitness, il controllo del peso corporeo e le eventuali intolleranze o allergie alimentari spesso alla base di una esacerbazione dei sintomi.

È necessario analizzare e discutere con il paziente la sua storia clinica, fargli comprendere cosa accade e perché nel suo caso specifico si è manifestata la sindrome fibromialgica. L’educazione e la comprensione della propria storia clinica sono fondamentali per intraprendere in maniera corretta un percorso terapeutico virtuoso.
La creazione di reti territoriali e centri multidisciplinari all’interno delle strutture di cura che si prendano carico di questi pazienti, unita all’inserimento della sindrome nei LEA, ci aiuta a pensare che tutto il processo migliorerà nei prossimi anni.
Con fiducia e con attenzione valuteremo in un prossimo futuro se il nostro Servizio Sanitario Nazionale avrà la forza di essere vicino ai numerosissimi pazienti che ancora oggi si sentono soli e abbandonati da un sistema che forse non dispone delle risorse necessarie, ma potrebbe senz’altro accompagnarci nell’educazione del personale sanitario alla conoscenza e presa in carico di questi cittadini (pazienti).

Piercarlo Sarzi Puttini
Presidente AISF ODV