Si è concluso a dicembre il primo ciclo di incontri di danzamovimentoterapia, promosso alla sezione regionale AISF di Roma. Sono stati proposti otto incontri a cadenza settimanale della durata di un’ora e mezza. Gli incontri si sono svolti in un piccolo gruppo e condotti secondo la metodologia della danzamovimentoterapia espressivo-relazionale (DMT- ER®). Come è noto evidenze scientifiche dimostrano l’utilità dell’attività fisica costante e di grado lieve/moderato per le persone affette da fibromialgia, l’uso di terapie mente-corpo e trattamenti psicologici per la gestione del dolore cronico; sono state condotte valutazioni quantitative di resilienza, consapevolezza del corpo, dolore, umore, stress e rilassamento.
La mia esperienza pregressa con persone con patologie reumatiche ha rafforzato e confermato la validità del lavoro ad approccio corporeo e della danza per intervenire a vari livelli sul miglioramento della qualità della vita, nelle dimensioni corporea, psichica ed emozionale. Con AISF abbiamo ritenuto significativo proporre un’attività da svolgere in presenza, in particolare dopo due anni caratterizzati dalla pandemia da Covid e dalla prevalente offerta di attività online. L’impegno delle partecipanti (tutte donne) è stato molto apprezzato, nonostante le difficoltà legate all’andamento della patologia e alle distanze da percorrere in una città come Roma. La metodologia della danzaterapia propone un “dialogo corporeo” in cui vi è una continua messa in moto e in forma di vissuti, pensieri ed affetti. Il modello psicofisiologico di riferimento considera anche le potenzialità dell’intervento attraverso tecniche corporee sulla regolazione delle emozioni. Le traiettorie di sviluppo in presenza di eventi stressanti nelle primissime fasi di vita o addirittura in periodo perinatale possono avere un impatto psicobiologico pervasivo, lasciando la loro impronta non solo nella mente degli individui ma anche una traccia incisiva sul loro corpo.
La disponibilità delle partecipanti, una volta verificata l’assenza di ogni richiesta di tipo tecnico o prestazionale, è stata una condizione che ha favorito sin dai primi incontri un dialogo non verbale, rendendo la danza uno strumento e un luogo dove conoscere se stessi e le proprie modalità di entrare in relazione con gli altri. Obiettivo del lavoro è stato valorizzare corpo, sensi, tempo, spazio e soprattutto la relazione, svincolando gli esercizi da qualsiasi struttura tecnica, utilizzando la danza e il legame che c’è fra il movimento spontaneo, il gioco vitale e creativo e la creazione coreografica. La danza che abbiamo creato si è sviluppata attraverso la modulazione delle distanze, delle aperture e delle chiusure, in relazione con se stessi e con gli altri.
Credo sia importante condurre la persona con dolore cronico ad una propriocezione che consenta di modulare l’intensità dello sforzo e lavorare sulla qualità del movimento. Adattando il lavoro e l’impegno corporeo al gruppo ed alle caratteristiche di ogni partecipante e rendendo ogni esercizio eseguibile secondo le diverse possibilità e secondo le preferenze di ognuna (ad esempio a terra, in posizione seduta o in piedi) ho cercato di facilitare l’ascolto del proprio corpo. Il lavoro in ogni sessione è processuale, a partire dall’attenzione alla respirazione, la modulazione della tensione ed il ripercorrere gli schemi motori di base, le strutture ritmiche del corpo, il gesto spontaneo, con una particolare attenzione alla fisiologia del corpo (catene muscolari, sistema miofasciale e strutture profonde). La struttura delle tensioni muscolari spesso legate alle sensazioni dolorose influisce sui movimenti, sul portamento e pertanto sulla struttura. Particolare attenzione è stata rivolta agli aspetti psicofisiologici legati al funzionamento del corpo, alla respirazione ed alla percezione degli stimoli sensoriali, alle catene muscolari, al gioco di tensioni e contro-tensioni. Ad esempio attraverso la respirazione diaframmatica profonda, con un’esalazione lunga e lenta, come chiave per stimolare il nervo vago, rallentare la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, soprattutto in momenti di ansia o stress.
Le partecipanti si sono mostrate fin da subito disponibili e interessate alla conoscenza di questi nuovi aspetti ed a sperimentare le diverse consegne, apprezzando l’invito al gioco e a ritrovare una dimensione ludica e gruppale affiancando un processo di apprendimento che permetta loro di modulare il più possibile autonomamente la propria attività fisiologica e controllare gli stimoli che innescano le sensazioni dolorose.
È emerso forte il desiderio di contrastare le difficoltà di movimento, di poter abbandonare la rappresentazione di sé e della propria immagine corporea quale sensazione di limite all’efficacia personale nella quotidianità della persona fibromialgica. A partire da attività semplici come il camminare o il respirare abbiamo reso consapevoli gli appoggi, esplorato le variazioni della forma del corpo, le connessioni e l’integrazione delle diverse parti, la densità dello spazio interno e dello spazio esterno. Siamo passate poi ad attività più strutturate con uso della voce, “stop” e giochi di contatto, lavoro con materiali, creando così, in una cornice di sicurezza, un luogo di relazione in cui entrare in contatto con altre persone e sentirsi parte del gruppo. È stato utile proporre nei diversi incontri materiali con qualità fisiche e motorie elementari e complementari (ad esempio il leggero ed il pesante, il morbido e il duro), in modo da sollecitare differenti pattern psicomotori; con lo stesso materiale/oggetto, infatti, possiamo evocare un ampio spettro di possibilità motorie, attivare strutture fisiologiche diverse, scoprire le “preferenze” ed affinità di ogni partecipante con una qualità di movimento piuttosto che un’altra. Ecco allora l’uso di teli di cellophane, palline di gommapiuma, foulard, palloncini, fili di nylon e canne di bambù.
La “pulsione al movimento” è stata favorita dalla musica che ha contribuito a costruire ogni momento degli incontri con esercizi d’improvvisazione semplici ed efficaci, capaci di mettere tutti nella condizione di poter creare in poco tempo delle sequenze di movimento, dando valore alle peculiarità delle singole partecipanti. Ho introdotto così elementi mutuati dall’Expression Primitive, che si ispira alle danze primitive e tribali, rielaborandole e utilizzandole come strumenti terapeutici in virtù del loro valore simbolico e comunicativo: il ritmo, il rapporto con la terra, il minimalismo dei gesti, la voce, la “pulsazione” in accordo al ritmo musicale ma anche ai ritmi binari interni al corpo. L’ascolto della musica, riuscire a muoversi a ritmo e sperimentare con diversi ritmi una stessa sequenza hanno sicuramente contribuito a rendere piacevole il lavoro, rafforzare la stima di sé ed esplorare nuove possibilità. Abbiamo dunque giocato con la voce, sperimentato le diverse modalità di emissione del suono, semplici esercizi di lallazione, andando a sollecitare strutture interne spesso poco utilizzate nel quotidiano. Le parentesi di verbalizzazione sono state brevi: i momenti di scambio verbale sono stati volti ad una traduzione dei codici corporei piuttosto che avere una intenzione interpretativa, accompagnati spesso da attività di disegno o scrittura.
Al termine di ogni sessione, oltre alla proposta di attività integrative a chiusura della “parabola” secondo la metodologia Dmt-ER®, ho sempre richiesto un breve feedback alle partecipanti riguardo all’esperienza vissuta. I termini “piacere” e “divertimento” sono comparsi quasi ogni volta, oltre a riferire in alcuni casi una attenuazione del dolore nel periodo seguente l’attività di danzaterapia. Naturalmente un effetto più incisivo potrà essere stimato proponendo questo tipo di interventi in un contesto multimodale sul lungo periodo.
«C’è un piacere del movimento in se stesso e per se stesso al di fuori di ogni finalità… ogni gesto vissuto, ossia non stereotipato e intellettualizzato, ha un contenuto primitivo al livello del piacere d’essere, di esistere nella mobilità del proprio corpo… il contenuto emozionale del gesto, poiché è in rapporto con le strutture più arcaiche del cervello risveglia le sensazioni del piacere più primitive e più profonde in rapporto con la pulsione vitale del movimento biologico» (Lapierre A., Aucouturier B., Fantasmatica corporale e pratica psicomotoria).
Carla Metallo
Psicologa clinica, Danzamovimentoterapeuta