La fatica, elemento cardine della sintomatologia riferita dai soggetti fibromialgici, è paradossalmente un fenomeno fisiologico, una malata immaginaria, un nome che ha dato dignità al mio star male…
La fatica elemento cardine della sintomatologia riferita dai soggetti fibromialgici è paradossalmente un fenomeno fisiologico. Una definizione operativa di fatica che permetta di ovviare quanto più possibile a questa complessità è quella proposta da Enoka e Stewart (J Appl. Phys.,1992) che definisce la fatica come la impossibilità di mantenere la forza muscolare o l’impegno meccanico richiesto.
Il fenomeno della fatica muscolare è connesso e quasi sovrapponibile con l’attività fisica stessa. Fenomeni di affaticamento iniziano nel momento stesso in cui iniziamo a contrarre i muscoli, cosi come una macchina inizia a consumare benzina nel momento stesso in cui, a macchina ferma,viene avviato il motore. La fatica è quindi un elemento fisiologico importante e ci indica le condizioni di funzionamento del muscolo e ci avverte che siamo in riserva e che il nostro muscolo “non ce la fa quasi più”. Per mantenere quella data posizione o movimento dobbiamo quindi modificare il nostro comportamento motorio. Questa modifica può avvenire semplicemente cambiando di lato la borsa che stiamo reggendo o attuando strategie di contrazione muscolare che ci permettano di prolungare nel tempo il movimento o la postura. In questo caso però prima o poi il muscolo si esaurirà, non sarà più in grado di contrarsi e saremo costretti o a lasciar cadere la borsa o a cambiare di lato.
Tutti si affaticano, anche gli atleti, ma per essi la fatica è un punto da superare per potersi allenare ovverosia per portare il proprio limite di fatica sempre più in là. Ma anche nel super-sportivo il muscolo ha un limite che l’allenamento non può in ogni caso valicare e, raggiunto il quale, anch’esso smette di funzionare, e l’atleta si deve fermare.Si dice che durante l’allenamento si richiede un impegno strenuo “della mente e del muscolo” (Gandevia: Mind, muscle & motoneurones, 1999).
Infatti questo limite fisiologico che tutti abbiamo dipende da due fattori che vengono chiamati fatica centrale e fatica periferica o muscolare. Queste due definizioni intendono richiamare precisamente due meccanismi inerenti il movimento: il comando motorio dato dal sistema nervoso motore e la risposta contrattile del muscolo. Ambedue questi aspetti sono soggetti ad affaticamento.
Nella fatica centrale è il comando volontario che ad un certo punto invia impulsi contrattili sempre meno efficenti ad un muscolo che di per se potrebbe contrarsi ancora a lungo prima di affaticarsi lui stesso. E’ ad esempio la fatica di chi dopo aver passato ore al tavolino a lavorare “si sente stanco”, senza energia e con il desiderio di riposare. Addirittura con la sensazione fisica di non avere forza nei muscoli.
L’altra fatica, quella periferica o muscolare vera e propria, è quella ad esempio di chi sta reggendo un carico prezioso e fragile e che ad un certo punto inizia ad avvertire che il muscolo non riesce più a sopportare il peso anche se chiaramente non vorrebbe mai e poi mai lasciar cadere quell’oggetto pesante e cosi fragile. In questo caso anche contro la propria volontà se il nostro soggetto non cambia velocemente di lato, prima o poi l’oggetto gli cadrebbe di mano per sopraggiunto esaurimento del muscolo: appunto la fatica muscolare localizzata.
I due tipi di fatica si influenzano vicendevolmente e si snodano contemporaneamente dall’inizio della contrazione muscolare ed è qualcosa di più articolato della semplice alterazione di processi contrattili che avvengono nel muscolo stesso (fatica periferica). Il sistema nervoso centrale svolge un ruolo fondamentale nella genesi della fatica durante una contrazione muscolare volontaria.
La letteratura è ricca di dati circa l’influenza di fattori psicologici nella generazione dell’output muscolare durante esercizi ripetitivi: possiamo citare gli opposti effetti della concentrazione/disattenzione, la presenza/assenza di input visivi o dell’effetto dell’incoraggiamento ecc. Tuttavia questo meccanismo di push-and-pull non sembra avere solo generatori di tipo psicologico in quanto vi sono evidenze sperimentali che indicano come nel momento in cui nel muscolo si sviluppano quei fenomeni bioelettrici noti come fatica muscolare localizzata, anche nel sistema nervoso centrale iniziano a verificarsi dei cambiamenti neuroormonali e di eccitabilità della corteccia cerebrale che suggeriscono come vi siano fattori centrali che agiscono a monte della via motoria, quella che attraverso i nervi motori va al muscolo.
Si configurano quindi due situazioni “estreme” , l’una centrale e l’altra periferica, che concorrono in tempi e modi differenti all’evolversi nel tempo dei fenomeni di fatica. Questi due aspetti vanno valutati entrambi. La misura della forza muscolare, ovverosia quanto peso riusciamo a sollevare, non appare lo strumento ideale per tale tipo di valutazione. Il più importante limite di tale approccio è rappresentato dall’impossibilità di discriminare, con tale metodica, tra la fatica vera e propria del muscolo e la fatica cosiddetta centrale, dovuta alle strutture poste a monte della trasmissione neuromuscolare. Attualmente il modo migliore per poter studiare le due componenti centrale e periferica della fatica muscolare è quella attraverso la valutazione della contrazione muscolare mediante elettromiografia di superficie. Molte pazienti affette da fibromialgia afferite al nostro centro di riferimento sono state sottoposte a valutazione della fatica muscolare mediante elettromiografia di superfice (sEMG). La tecnica, non invasiva, consiste nell’analisi dei segnali elettrici sviluppati dal muscolo durante una contrazione sia volontaria che indotta da stimolazione elettrica.
Lo studio della fatica muscolare durante sforzo volontario permette, se confrontata con analoga registrazione durante affaticamento indotto da stimolazione elettrica, di discriminare la componente centrale/volizionale da quella periferica/muscolare.
Con questa metodica si è appurato che il muscolo del soggetto fibromialgico non è affetto da nessuna patologia ne alterazione istologica del muscolo stesso. E’ stato dimostrato che il comportamento contrattile del soggetto fibromialgico corrisponde a quello di una persona di 20-30 anni più anziana (Casale & Rainoldi, 2009) e che il modo con cui il soggetto fibromialgico usa i muscoli è svantaggioso e non segue la strategia contrattile secondo il principio di Henneman del soggetto non fibromialgico (Casale et al 2012). Questo modo di contrarre il muscolo in modo “disarmonico” è stato postulato come una delle concause dell’insorgenza del dolore del muscolo. Tutti questi dati ci hanno permesso inoltre di indicare come una riabilitazione della fatica muscolare nel paziente fibromialgico non debba essere indirizzata ne alla forza ne alla resistenza del muscolo, ma bensì al recupero di un movimento fisiologico e congruo.