Molti dei nostri pazienti arrivano dal medico con idee confuse e con aspettative che non coincidono con la realtà della malattia ma con le quali dobbiamo confrontarci per instaurare un buon rapporto con il paziente senza creare ostacoli e senza offenderlo denigrando le sue convinzioni legate alla malattia ma cercando di aiutarlo a comprendere cosa sta accadendo o cosa è accaduto.

Esistono varie tipologie di pazienti con i quali si ha a che fare; esistono pazienti che ritengono che la FM dipenda da qualche malfunzionamento organico che nessun medico è riuscito ad identificare per cui vanno alla caccia di un esame fuori posto o di una radiografia con qualche lesione per cercare di spiegare la genesi del loro dolore.

Esistono pazienti che hanno letto su internet o su altri libri tutto quello che c’è da sapere sulla malattia, per cui conoscono il problema ma è difficile per loro capire la storia clinica di questa malattia ma soprattutto perché i farmaci funzionino in misura così limitata.

Esistono pazienti affetti da sempre da fibromialgia ma che sono stati etichettati con diagnosi diverse, spesso topografiche e/o generate da patologie infiammatorie o autoimmuni (ad es diagnosi di connettivite indifferenziata per semplice presenza di anticorpi antinucleo a basso titolo, oppure di artrosi cervicale e lombare per presenza di modeste lesioni alle radiografie) e che sono stati trattati con un’infinità di terapie locali che hanno sortito poco effetto se non un cospicuo esborso di denaro.

Potremmo andare avanti all’infinito nel descrivere quante tipologie diverse di pazienti possono affollare il nostro studio, ma, indipendentemente da questo, il compito di chi si occupa con coscienza di questi malati, è quello di spiegare con esattezza da dove può provenire la fibromialgia.

Il concetto che esiste una predisposizione genetica a tale malattia ma che da sola non basta va chiarito; va spiegato al paziente che esiste un sistema di recettori che trasmettono al nostro cervello le percezioni dolorose e non derivate dal nostro corpo e che questi recettori possono alterarsi e trasmettere come dolorosi stimoli che normalmente nemmeno sarebbero percepiti.

Esistono aspetti della personalità del paziente fibromialgico che ricorrono frequentemente: ad es bassa autostima con tendenza ad essere iperattivi per dimostrare agli altri il proprio valore per poi, una volta comparsa la sintomatologia fibromialgica, accorgersi che a mala pena si riescono a compiere i normali gesti di vita quotidiana e che tutta la nostra efficienza presente prima della malattia è scomparsa lasciandoci in grandi ambasce e con un ego ferito a morte dal fatto che gli altri non ci considerino più efficienti e validi come prima.

Esistono pazienti che negano la presenza di alterazioni psicoaffettive, ma che sono ansiosi da sempre ma ovviamente non comprendono cosa leghi l’ansia al dolore cronico. Il risultato di questa storia individuale ma spesso simile di sofferenza complessiva del paziente fibromialgico deve riflettersi in un comportamento di disponibilità verso il paziente nella certezza che, nel caso della fibromialgia, non basta un farmaco o una combinazione di farmaci per risolvere il problema, ma occorre una ristrutturazione cognitiva-comportamentale, Cosa significa questa espressione in parole semplici? Occorre spiegare al paziente che il controllo dei sintomi non passa solo attraverso una terapia farmacologica ma attraverso una ristrutturazione della propria personalità e una migliore gestione della propria area emozionale.

Per molti miei colleghi, non è facile addentrarsi in questo percorso; molti medici sono abituati a gestire il rapporto con il paziente in maniera distaccata, forti del loro ruolo e della potenza che i farmaci o la chirurgia hanno su alcune patologie. Ma nel caso della fibromialgia, è tutto diverso; senza l’empatia tra paziente e terapeuta non si raggiunge alcun risultato se non quello di allontanare il paziente dal nostro ambulatorio con un vorticoso alternarsi di altri specialisti e spesso con l’allontanamento dalla medicina tradizionale spingendolo a rivolgersi a trattamenti alternativi ma soprattutto a terapeuti, che, non utilizzando farmaci potenti, hanno imparato ad ascoltare il paziente e a condurlo su vie terapeutiche che sfruttano le capacità intrinseche terapeutiche del paziente stesso.

Ecco perché curare il paziente con FM presuppone tempo, disponibilità empatica, elasticità nella decisione terapeutica, e orientamento all’educazione del paziente all’auto trattamento e alla gestione dei propri problemi quotidiani. Ovviamente queste vogliono essere solo delle semplici riflessioni generate dall’esperienza mia con questi pazienti e dalla consapevolezza che l’educazione del paziente ma soprattutto l’educazione del terapeuta alla reale comprensione del paziente giocano un ruolo fondamentale nel futuro del paziente stesso.

Editoriale di Piercarlo Sarzi Puttini