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Mouse e tastiera che tortura

Sempre più diffusi i problemi per chi soffre di reumatismi e deve lavorare al computer

MILANO – Sembrerebbe una buona soluzione per chi soffre di malattie reumatiche: passare da attività lavorative più impegnative dal punto di vista fisico a impieghi che richiedono solo di stare seduti a tavolino, interagendo con lo schermo di un computer. «Invece purtroppo anche lavorare a video può diventare una vera tortura per chi soffre di artrite, artrosi e soprattutto di fibromialgia» sostiene Nancy Baker, del Dipartimento di terapia occupazionale dell’Università di Pittsburgh, che ha pubblicato i risultati del suo lavoro sul numero di maggio di Arthritis Care & Research, una delle più accreditate riviste di reumatologia del mondo, organo ufficiale dell’American College of Rheumatology.

LO STUDIO – La studiosa statunitense, con la collaborazione di altre colleghe, ha prima di tutto messo a punto un apposito questionario. Le domande riguardavano l’uso del computer e le difficoltà incontrate nel suo utilizzo in generale e quelle relative alla posizione sulla sedia, all’uso del mouse, del monitor, della tastiera. Lo ha quindi sottoposto a una serie di malati individuati attraverso l’Arthritis Network Disease Registry , un elenco di persone con varie forme di disturbi reumatici che si sono dichiarate disponibili a partecipare alle ricerche dell’Università di Pittsburgh e a esserne tenuti al corrente. Tra i 359 che hanno completato l’indagine, a utilizzare regolarmente il computer erano 315: di questi, l’84 per cento ha dichiarato di trovare difficoltà a usarlo a causa della propria malattia e circa il 77 per cento di accusare veri e propri disturbi fisici.

CHI SOFFRE DI PIÙ ALLA TASTIERA – «Ci aspettavamo che a soffrire di più muovendo le mani sulla tastiera e col mouse fossero i malati di artrite reumatoide o i portatori di artrosi» commenta la ricercatrice americana. «Al contrario, considerando tutti e quattro gli elementi considerati (cioè la sedia, la tastiera, il mouse e il monitor), a riferire maggiori difficoltà, più dolore e limitazioni sono stati quelli con la fibromialgia». Gli autori del lavoro hanno trovato diverse possibili spiegazioni per il fenomeno. «Questi malati potrebbero trovarsi più impacciati nei movimenti a causa dei disturbi sensitivi e del facile affaticamento che caratterizza la loro condizione» spiega Nancy Baker. «Inoltre il loro dolore è diffuso e più difficile da prevedere: gli artritici e gli artrosici, al contrario, imparano presto ad adattare i loro movimenti e le condizioni di lavoro in modo da evitare di evocare lo stimolo doloroso».

PROBLEMA IN CRESCITA – In un’epoca in cui il computer sta monopolizzando sempre più non solo il mondo del lavoro, ma anche il tempo libero e le comunicazioni tra le persone, per esempio attraverso la posta elettronica, le chat e i cosiddetti social network, i risultati ottenuti a Pittsburgh devono far pensare. Negli Stati uniti si calcola che lo utilizzi il 56 per cento dei lavoratori e che sia presente nel 62 per cento delle abitazioni. In Italia non ha ancora raggiunto questi livelli di diffusione. I dati ISTAT indicano che nel 2007 non era ancora arrivato nella metà delle famiglie e l’accesso a internet era disponibile a meno del 40 per cento. Tuttavia i dati sono in inevitabile crescita e aggiungere una difficoltà fisica al suo utilizzo significa esacerbare la sensazione di disabilità dei malati reumatici.

ERGONOMIA – «Per questo occorre effettuare ulteriori studi per individuare con maggiore precisione le difficoltà incontrate dai malati reumatici nell’uso del computer» raccomanda la terapista di Pittsburgh, «e trovare delle soluzioni». La più immediata è farsi aiutare da specialisti a trovare le posizioni, gli espedienti, gli strumenti più adatti a ridurre le limitazioni indotte dalla malattia, in modo da poter lavorare per tutto il tempo richiesto senza disagio o dolore. «Ma è importante che queste soluzioni siano poi trasferite anche al computer di casa»conclude la ricercatrice, «dove è più facile che vengano trascurate le semplici norme ergonomiche che riducono i rischi di sviluppare disturbi». Reumatologia ricerca americana:

Roberta Villa 23 luglio 2009

 

Dolore cronico, conta che cos’è successo durante l’infanzia

Eventi traumatici vissuti da bambini aumentano il rischio di soffrire di dolore cronico da adulti

Da piccoli si sono vissuti traumi come incidenti gravi o la morte della mamma? È assai probabile che una volta cresciuti ci si trovi a dover fare i conti con il dolore cronico diffuso. Lo rivela una ricerca inglese in uscita sulla rivista Pain, secondo cui le esperienze dell’infanzia sono un importante fattore predittivo dei problemi in età adulta.

STUDIO LUNGO – Si tratta di una ricerca che utilizza dati del 1958 British Cohort Study, che ha seguito per quasi 50 anni poco meno di diecimila persone: ovvero, tutti i sudditi della Regina nati in una specifica settimana del 1958. Quando i partecipanti avevano 7 anni sono stati registrati, attraverso interviste ai genitori, dati su tutte le esperienze negative con cui i bimbi avevano dovuto fare i conti: ricoveri dopo incidenti o per un intervento chirurgico, morte o alcolismo della madre o del padre, divorzio dei genitori, difficoltà economiche familiari o periodi trascorsi in strutture istituzionali (dai riformatori a cliniche di vario tipo). A 45 anni gli stessi partecipanti hanno risposto a questionari per capire se soffrissero di dolore cronico generalizzato (non legato cioè a uno specifico problema o intervento). Si è così verificato che aver subito un incidente che ha comportato un ricovero, ad esempio, aumenta di una volta e mezzo il rischio di ritrovarsi con dolore cronico da adulti; simile la probabilità in caso di «ex-bimbi» che hanno sperimentato difficoltà economiche familiari o hanno vissuto più o meno a lungo in strutture istituzionali. L’evento che più predice problemi in età adulta è la morte della madre, che fa raddoppiare il pericolo di soffrire di dolore cronico in seguito.

CONFERME – I risultati non possono essere spiegati dallo stress dei soggetti da adulti, né dalla loro classe sociale di appartenenza: la radice del problema, insomma, è proprio un’infanzia travagliata. Tutti da capire i meccanismi biologici alla base di questa pericolosa correlazione, che però non è del tutto una novità: già molti studi hanno dimostrato che esiste un’associazione fra il vissuto infantile e il dolore cronico diffuso. Qualche tempo fa, ad esempio, uno studio rivelò che fra i pazienti con fibromialgia la prevalenza di violenze e abusi verbali, fisici o sessuali subiti nell’infanzia è quasi del 50 per cento superiore rispetto a quella registrata in persone sane; un’altra ricerca ha dimostrato che essere stati testimoni di violenze da piccoli aumenta il rischio di soffrire di dolore cronico una volta cresciuti. «In generale come e ciò che si vive durante l’infanzia ha più ripercussioni sulla salute da adulti di quanto si sarebbe disposti a credere – scrivono gli autori dello studio inglese –. Tutto ciò che può aiutare i bimbi a vivere in pieno benessere mentale e fisico, perciò, è molto importante per evitare problemi in età adulta». Non solo: secondo gli autori c’è un’altra implicazione pratica da non sottovalutare. Quando un adulto arriva dal medico perché soffre di dolori cronici, vale la pena indagare un po’ nel suo passato: è probabile che lì «covino» traumi non ancora digeriti. Se è così, intervenire con un supporto psicologico per cercare di superarli può servire a risolvere prima e meglio anche il disturbo presente.

Elena Meli 03 aprile 2009

 

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