Lo Tsunami causato dalla comparsa a livello mondiale del Coronavirus sta gradualmente rientrando. Quanto accaduto in questi mesi è stata un’esperienza unica e speriamo irripetibile che ha scosso dalle fondamenta il nostro Sistema Sanitario Nazionale, specie quello di alcune regioni del Nord (in particolare la Lombardia) che sono risultate decisamente le più interessate e coinvolte.

Di colpo, a causa della marea montante infettivologica indotta dalla contagiosità del virus, i nostri ospedali hanno chiuso i battenti alla normale attività di routine e si sono dovuti trasformare in ospedali “COVID-orientati”. I medici che normalmente lavoravano in altri reparti (come la Reumatologia) si sono trovati a dover gestire i malati COVID, a discapito delle attività cliniche differibili inerenti alla loro specifica branca.

L’obbligatorietà della permanenza nel proprio domicilio, lo smart working, la chiusura serale dei ristoranti e degli altri locali di svago ha condizionato la vita di tutti, rendendoci da un lato più attenti al proprio nucleo familiare e alla riscoperta dei valori domestici, ma dall’altro ha radicalmente modificato per alcuni mesi il nostro ritmo di vita sociale, lavorativo e familiare. Anche l’utilizzo di guanti e mascherina, così come il distanziamento sociale, ci ha costretto a vivere in uno stato di emergenza e di parziale allontanamento dal contesto sociale.

Per quanto riguarda nello specifico i pazienti affetti da sindrome fibromialgica, abbiamo registrato svariati problemi: prima di tutto i pazienti affetti da sindrome fibromialgica hanno registrato complessivamente un peggioramento globale dei sintomi riferiti, in particolare la stanchezza e la dolorabilità muscolare, l’ansia, gli attacchi di panico, la depressione; inoltre, alcuni soggetti non fibromialgici ma affetti da COVID hanno evidenziato la persistenza di sintomi analoghi, e in alcuni casi l’infezione da COVID sembra aver generato nuovi casi di FM. Lo stress ha giocato un ruolo di grande impatto nelle vite dei pazienti FM in epoca COVID: per alcuni, la semplice modificazione delle proprie abitudini di vita (ad es. non poter andare più in palestra o dallo psicologo) li ha fatti regredire con un netto peggioramento della sintomatologia in generale; la loro resilienza (capacità di gestire situazioni di stress cronico) è stata messa a dura prova dal COVID.

Come Associazione abbiamo chiesto ai pazienti di compilare un questionario sui sintomi in epoca COVID e molte osservazioni interessanti sono emerse dall’analisi dei dati raccolti. Per molti pazienti pesava il problema del rischio di perdita dell’attività lavorativa; non essendogli riconosciuta nella maggior parte dei casi alcun tipo di invalidità, devono necessariamente vivere del proprio lavoro (a volte part-time, altre irregolare) e le difficoltà economiche indotte dalla paralisi COVID hanno pesato molto sulle loro tasche e sulla loro disponibilità di reddito. Anche il dover stare lontano dai propri cari durante il lockdown è stata una prova durissima.

Le cose adesso stanno riguadagnando lentamente il loro normale decorso. In ospedale abbiamo cercato di ovviare al tempo perduto, recuperando molte delle visite non effettuate o lasciate in sospeso nell’era COVID, anche se la situazione non si è del tutto normalizzata; moltissimi ambulatori, infatti, sono ancora chiusi e quelli che hanno riaperto hanno una lista di attesa di mesi e mesi. Abbiamo comunque assistito ad una prova di maturità della maggior parte dei pazienti fibromiagici: per alcune settimane ci hanno consentito di “dimenticare” i loro sintomi, ben comprendendo che la sintomatologia da epidemia di COVID necessitava delle risorse dei medici e del personale che prima era a loro disposizione; il senso civico di molti di questi pazienti è venuto proprio dalla loro non pressante richiesta di assistenza medica; la sintomatologia spesso è peggiorata ma hanno cercato di adattarsi e di  adeguarsi in maniera positiva, sapendo appunto di non potere ricevere un adeguato aiuto e supporto dalla classe medica.

Si spera di non dover mai più ripetere l’esperienza di questi ultimi mesi e che riprenda a pieno regime la vita lavorativa e sociale delle persone; la salute è un bene necessario che va conservato e custodito con tutte le forza, ma occorre anche mediare con le necessità economiche e sociali; l’assenza o la grave limitazione delle stesse renderebbe a lungo termine la vita impossibile e toglierebbe anche la speranza di un’esistenza più dignitosa e senza dolore.

Piercarlo Sarzi Puttini

Presidente AISF ONLUS