Le ragioni, oltre a quelle che storicamente appartengono all’umanità, sono rappresentate oggi dall’incertezza infiltrata in ogni attività umana, dall’economia, al lavoro, all’integrazione razziale al futuro nostro e dei nostri figli. Dalle conseguenze, insomma, della svolta epocale che interessa il nostro periodo storico. In sintesi, un’inquietudine esistenziale che ci rende nervosi, preoccupati, irascibili e poco tolleranti. Ma, che cos’è l’ansia? Per quanto ormai conosciuta quasi in ogni suo dettaglio, non è comunque di facile definizione per le innumerevoli implicazioni a carattere sia fisico che mentale.
A grandi linee può essere definita una combinazione di emozioni negative accompagnata spesso da sensazioni fisiche sgradevoli. Potremo enumerare queste emozioni, descriverle ed anche commentarle ma alla fine scopriremo che ruotano tutte attorno ad un nucleo centrale che è l’emozione delle emozioni. Quella che più influisce e condiziona la nostra esistenza e cioè la “paura”.
Per quanto riguarda le reazioni a livello fisico credo che ognuno di noi le abbia, anche se in diversa misura, abbondantemente sperimentate.
Possiamo riassumerle come un’agitazione sotto pelle in concomitanza di un aumento del battito cardiaco, di un respiro alterato, di un malessere generale più o meno intenso. Di per sé la paura, che viene sperimentata a livello mentale, è un pò come il dolore provato a livello fisico. Entrambe queste manifestazioni sono segnali la cui finalità ultima è la salvaguardia dell’esistenza in vita dell’individuo e della specie. Se non ci fosse la paura a renderci prudenti quanti azzardi commetteremmo? E se non ci fosse il dolore fisico quante malattie trascureremmo fino ad arrivare a situazioni irreversibili?
Tuttavia se la paura da una parte ci protegge dall’altra ci paralizza. Nel continuum di questa emozione si svolge l’esistenza di ogni individuo. Quindi la paura e l’ansia che la precede sono fattori naturali e non nocivi? In parte certamente si. L’ansia che precede un’esame o un compito importante certamente ci spinge a superare la fatica di una meticolosa preparazione e ci aiuta a mantenere un’attenzione elevata durante il compito. Ciò a condizione che la gestione della paura rimanga entro limiti “razionali” e questo avviene quando la paura è motivata solo dall’evento che dobbiamo superare. Nel caso dell’esame la paura dovrebbe rimanere, pertanto, circoscritta al suo esito. Già voi capite che questo concetto, apparentemente di una banalità estrema, in effetti è molto più complesso. Nella realtà rimane un concetto teorico in quanto potenzialmente influenzato da una quantità indefinita di variabili che vanno: dalla percezione dell’importanza e del grado di difficoltà dell’esame stesso; dalla percezione personale della severità o meno della commissione, dalla posta in gioco legata all’esito in termini di ottenimento di borsa di studio o di successo personale; dagli impedimenti temuti, più o meno reali, legati ad imprevisti di carattere generale, ai mezzi di trasporto ecc; dalla presenza di fattori incoraggianti come compagni o altro; dalla fortuna o dal caso di essere sorteggiati per una certa fascia oraria; dalla fiducia nelle proprie capacità sia mnemoniche che di soluzione di problemi o dalla propria abilità nel sapersi esprimere e più in generale di sapersi far valere ecc…
Non è difficile immaginare che questo elenco potrebbe essere ampliato ben oltre questi brevi cenni che pur aprono ad una complessità inaspettata. Infatti, se alla paura dell’esito dell’esame si somma quella della brutta figura, del giudizio negativo, della conferma della propria inadeguatezza, ed altro ancora, la somma di tutti questi timori potrebbe diventare una paura non più gestibile. L’ansia che la precede sarà di grado molto elevato e quindi spesso paralizzante. Il comune denominatore a tutti questi timori in realtà è la “percezione personale” della minaccia di un evento temuto. È quindi l’individuo stesso, attraverso un processo cognitivo, che esprime un valore di temibilità ad ogni evento che di per sé, in assoluto, non avrebbe alcuna caratteristica di bontà o di nocività. Questa può quindi, a ragione, essere ritenuta un processo personale e soggettivo. Lo è anche quando, appartenendo un individuo ad una comunità, rende questa contraddistinta da tali aspetti.
Così l’ansia di ogni singolo individuo che ne fa parte , diventa una caratteristica del gruppo cui l’individuo appartiene, per esempio al gruppo delle persone affette da fibromialgia. L’ansia nella fibromialgia è una costante molto frequente. Se non è presente prima della comparsa dei sintomi lo è successivamente. È, infatti, in parte causa ed in parte effetto della sintomatologia dolorosa. Causa perché concorre ad attivare disfunzioni a livello centrale che hanno a che fare con una serie di disregolazioni a carico del sistema nervoso autonomo ed una aumentata percezione del dolore. Effetto perché le limitazioni provocate dal dolore cronico creano la paura di non essere in grado di svolgere i propri compiti, sia a livello lavorativo che familiare o di realizzazione personale. Assolutamente non trascurabile è la paura di possibili malattie ad esito infausto che spesso accompagna il dolore cronico. A volte, questa paura, si trasforma in vere e proprie manifestazioni ipocondriache. A complicare una situazione già di per sé precaria è l’assenza di dimostrazioni sia a livello strumentale o che di laboratorio che confermi la presenza di una malattia vera e propria. Chi è affetto da fibromialgia viene spesso etichettato come malato immaginario o peggio affetto da malattie mentali. Tutto ciò concorre a confermare la percezione di sé come individuo difettoso, debole, vulnerabile. L’ansia in questo contesto diventa una costante.
Cosa fare nel caso di sospetta fibromialgia?
Intanto una corretta diagnosi. È molto importante in questa fase escludere comorbilità sia a livello fisico che mentale. Successivamente occorre che il paziente sia il più possibile informato circa la sua patologia anche perché dovrà essere lui in prima persona a gestirne l’andamento. L’informazione, oltre agli aspetti prettamente di natura medica dovrà soprattutto riguardare quelli di carattere psicologico soprattutto per quanto concerne gli aspetti ansioso depressivi che accompagnano i pazienti fibromialgici. Infatti l’ansia e la depressione, chiaramente in misura variabile a seconda dell’individuo, se non era presente prima della comparsa dei sintomi compare immancabilmente
dopo. Le motivazioni alla loro base devono pertanto essere oggetto di approfondita analisi in modo che il loro significato ed il loro effetto siano il più possibile conosciuti. Paradossalmente certe reazioni a livello neurofisiologico che creano disturbi a livello somatico sono spesso vissute come infermità mentre, al contrario, sono indice di buon funzionamento di certi sistemi innati che hanno lo scopo di aumentare la probabilità di sopravvivenza dell’individuo in una situazione di pericolo (percepito). A volte “se stiamo male è perché funzioniamo bene”. Semmai è l’oggetto delle nostre ansie, a seguito di un pericolo percepito o temuto che dovrebbe essere messo in discussione e non la reazione fisica che ne consegue. Ciò è possibile mediante la ristrutturazione cognitiva che è il primo passo verso una più approfondita conoscenza di tali meccanismi e poi la psicoterapia cognitivo-comportamentale per adattare i processi appresi alle realtà individuali. In tale modo l’ansia viene vissuta e gestita in modo
più appropriato.
Oltre a quanto già detto possiamo controllare l’ansia anche:
– con i farmaci pensando che l’ansia è più nociva di qualsiasi effetto indesiderato provocato dal farmaco stesso;
– con il rilassamento. È pertanto opportuno conoscere e mettere in pratica un rilassamento sia fisico che mentale. Da tener presente che ogni tipo di rilassamento funziona bene. È però importante conoscerne il meccanismo di funziona e come amplificarne l’efficacia;
– con una adeguata respirazione.
Molto semplicemente contando il tempo di durata dell’inspirazione ed espirando per un tempo doppio. Dopo un accomodamento iniziale si prende il ritmo e questo esercizio, per quanto semplice è molto efficace. Da tenere a mente che l’ansia è fonte di stress che se temporaneo è fisiologico. Quando dura nel tempo e si cronicizza può essere fortemente nocivo per l’organismo.
Pierangelo Sgiarovello
Psicologo, Psicoperateuta