È sempre difficile parlare di cannabis terapeutica, trattandosi di un argomento molto discusso e delicato. La legalizzazione e la differenziazione tra uso medico e quello ricreativo è un problema reale. Sicuramente vi sono controversie rilevanti legate alla cultura e alle norme sociali, e non solo in negativo: molte volte i suoi sostenitori si basano sull’argomentazione che sia più sana perché si tratta di un prodotto “naturale” invece che sintetizzato in laboratorio come molti altri farmaci, sebbene dal punto di vista chimico non sia un’argomentazione totalmente sensata. D’altra parte, moltissime associazioni di pazienti sono a favore dell’utilizzo e della legalizzazione della cannabis come farmaco, una presa di posizione che deriva dalle esperienze positive raccolte ogni giorno tra i pazienti trattati con questo medicinale.
Lo scopo di questo articolo è quello di chiarire le caratteristiche di questa pianta, dal punto di vista non solo farmacologico, ma anche legale e burocratico, concludendo con una parentesi sugli ultimi dati scientifici raccolti riguardo al suo utilizzo nella Sindrome Fibromialgica (FM).
I composti che notoriamente sono associati alla pianta cannabis sono il THC (tetraidrocannabinolo) e il CBD (cannabidiolo). Queste sostanze fanno parte della grande famiglia dei “cannabinoidi”, che comprende non solo il THC e il CBD, ma anche decine e decine di altri composti contenuti nella cannabis (cannabiciclolo, cannabicromene, cannabitriolo e molti altri). Il THC e il CBD sono i cannabinoidi più importanti e più studiati. Oltre ai cannabinoidi, nella cannabis sono presenti centinaia di altre sostanze, come i flavonoidi e i terpeni, che solo al centro di numerosi studi recenti e pare che abbiano anch’essi proprietà benefiche. È particolarmente importante sottolineare questo concetto al fine di distinguere le due principali classi di medicinali: i cannabinoidi sintetici e i medicinali basati sull’intera infiorescenza della cannabis, che sono quelli di cui parleremo in questo articolo. I cannabinoidi sintetici sono composti puri: il nabilone, per esempio, consiste in THC puro. Queste sostanze pure possono essere o sintetizzate in laboratorio o estratte dalla pianta direttamente. In ogni caso, contengono molti meno principi attivi dell’infiorescenza integrale della cannabis.
I diversi tipi di cannabis vengono differenziati a partire dal loro contenuto in THC e CBD (ad esempio: Bedrocan 19% THC), che sono i composti più studiati, ma non dobbiamo dimenticare l’intero armamentario di principi attivi contenuto nella pianta. In Italia, i farmaci basati sull’intera infiorescenza provengono da Olanda (come il Bediol o il Bedrolite) e Canada (Pedanios). Anche l’Italia da pochi anni ha cominciato a produrre le piante di cannabis, in due varietà chiamate FM1 o FM2. Perché scegliere una varietà piuttosto che un’altra, a parità di percentuale di THC o CBD? Le infiorescenze dal punto di vista chimico sono equivalenti, FM1 ed FM2 possono avere però più variabilità nella percentuale di cannabinoidi contenuta (il valore di THC è compreso tra il 13 ed il 20% in FM1, mentre il Bedrocan garantisce la titolazione a circa il 19-22%).
Dal punto di vista legislativo, la cannabis terapeutica in Italia è legale dal 2013. Essa deve essere utilizzata, in Italia, come trattamento di supporto ai trattamenti standard, quando (cito dal sito del Ministero della Salute, salute.gov.it) “questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati, o hanno provocato effetti secondari non tollerabili, o necessitano di incrementi posologici che dovrebbero determinare la comparsa di effetti collaterali”. La cannabis terapeutica può essere prescritta da qualunque medico iscritto all’Ordine dei Medici, utilizzando ricetta bianca non ripetibile (in ottemperanza alla legge Di Bella), sulla quale non si deve scrivere il nome del paziente ma un codice alfanumerico univoco. Presentandosi in farmacia con questa ricetta, ogni paziente che sia affetto dalle patologie indicate dal Ministero può acquistare il medicinale a base di cannabis; tuttavia, la rimborsabilità del medicinale stesso (cioè il fatto che il farmaco sia di “fascia A”) è a discrezione delle singole Regioni o Province Autonome. La rimborsabilità richiede sia la ricetta rossa, che può essere fatta anche dal Medico di famiglia, sia il piano terapeutico, che invece può essere compilato solo dallo specialista, e ha una validità di 6 mesi al massimo (come accade, per esempio, per la terapia anticoagulante orale). Le prescrizioni a base di cannabis, infine, sono magistrali, ossia sono preparate dal farmacista. In poche parole: al farmacista arriva l’infiorescenza integrale, che dovrà essere trasformata in farmaco, assumibile dal paziente. Il farmacista, attraverso una serie di preparazioni chimiche ed estrazioni dei principi attivi, preparerà l’olio, la capsula, il decotto, ecc… a seconda della prescrizione del medico. Questi complessi passaggi spiegano non solo perché non tutte le farmacie preparano la cannabis medica, ma anche il suo alto costo.
Dato che la FM è una patologia cronica, la via di somministrazione d’elezione è quella orale, che facilita un assorbimento lento e prolunga dunque l’effetto. Come per tutti gli altri farmaci, si dovrebbe cominciare ad assumere a dosaggio minimo, per poi gradualmente aumentare la dose, al fine di evitare gli effetti collaterali massimizzando l’efficacia. È importante ricordare che la cannabis ha una bassa interazione con altri farmaci, quindi può essere generalmente aggiunta alla propria terapia di base, e ha una minore frequenza di eventi avversi severi: se la confrontiamo con i farmaci oppiacei (codeina, morfina, ossicodone, fentanil) vediamo come la cannabis dia molta meno intolleranza e dipendenza.
La cannabis è un farmaco naturale utilizzato da centinaia di anni, soprattutto in India e in Cina, per trattare una serie di disturbi, tra i quali il dolore. Negli ultimi anni numerosi studi scientifici hanno effettivamente confermato la sua efficacia nel trattamento del dolore cronico. La FM è una patologia molto complessa per la quale la cannabis potrebbe effettivamente essere una risorsa, specialmente per quei pazienti che non trovano beneficio nei trattamenti convenzionali, o che dovrebbero aumentare il dosaggio tanto da rischiare di provocare effetti collaterali. I dati della letteratura scientifica riguardo cannabis e FM sono comunque ancora controversi, soprattutto perché mancano studi a lungo termine ben strutturati che ne confermino l’efficacia. I dati preliminari e soprattutto le impressioni soggettive dei pazienti sono incoraggianti. Alcuni di questi dati sono stati raccolti presso il nostro Centro, l’Ospedale Universitario “Luigi Sacco” di Milano. In uno studio pubblicato quest’anno abbiamo seguito 100 pazienti fibromialgici per 6 mesi di terapia con cannabis, che era stata aggiunta alla loro terapia di base. Il 30% dei pazienti ha raggiunto un miglioramento significativo nel sonno e nella qualità della vita, mentre molti pazienti hanno raggiunto un miglioramento, seppur moderato, nell’ansia e nella depressione (i risultati sono stati registrati tramite questionari). Quasi la metà dei pazienti ha diminuito la terapia analgesica concomitante. Altri due studi pubblicati lo scorso anno sottolineano come, in media, l’impressione dell’efficacia del trattamento con cannabis tra i pazienti fibromialgici sia alta.
Che conclusioni possiamo trarre? Prima di tutto va sottolineata l’importanza della percezione soggettiva nel momento in cui si deve misurare l’efficacia di un farmaco, aspetto fondamentale sia per il paziente FM in cannabis sia per qualunque altro tipo di patologia o medicina. È noto infatti l’effetto placebo, che è un miglioramento indotto dalle aspettative positive del paziente, mentre pochi conoscono l’effetto nocebo, che è un peggioramento della sintomatologia dato dalle aspettative negative. Ciò è particolarmente attuale per la cannabis, la quale porta con sé un carico emotivo legato alla cultura, alle aspettative, all’educazione e ai valori morali, che può realmente condizionare l’effetto del farmaco in maniera significativa. D’altra parte, sebbene sia fondamentale superare i dubbi e le reticenze culturali, è anche vero che la cannabis terapeutica non va considerata una “cura definitiva” per la FM. Essa può essere efficace nel 30-50% dei pazienti (una percentuale che è in linea con gli altri farmaci utilizzati per la FM, come la duloxetina), e solo per alcuni sintomi. Si può considerare, comunque, un’alternativa più sicura ai farmaci oppiacei. In generale, la strategia terapeutica deve essere basata sulla gradualità, sull’esperienza clinica e sull’alleanza medico-paziente.
Dr.ssa Valeria Giorgi
Ricercatrice, Ospedale Universitario “Luigi Sacco” di Milano