LA LETTERA

Il nome delle cose nel difficile viaggio quotidiano di un fibromialgico

Ringrazio il dott. Cazzola e Luisa Quattrina per aver voluto rispondere sul n.1/2009 del Caleiodoscopio alla mia lettera “Diagnosi di Fibromialgia: un alibi per non curare?” e raccolgo volentieri l’invito a scrivere di nuovo tornando sul tema della ricerca di un linguaggio comune per la Fibromialgia (FM) inteso non solo come linguaggio semplice e comprensibile a tutti, ma più ancora come linguaggio che accomuna, che consente di agire in modo coordinato verso un obiettivo condiviso senza spreco di energie in conflitti e incomprensioni.

A volte per me, fibromialgica, il problema non è nemmeno quello di capire come curare la FM, quanto piuttosto quello di far fronte ad altri guai, infezioni, infortuni anche banali, ma che richiedono un intervento medico o sociale.

Nel mio caso, gli ambiti nei quali si manifestano le maggiori difficoltà di dialogo tra medici con diverse competenze da un lato e tra medici e società dall’altro sono e sono stati il movimento, l’alimentazione, l’organizzazione del lavoro.

IL MOVIMENTO

Le ragazzine della mia generazione, quelle nate negli anni ’50 e ’60, venivano educate alla sedentarietà.

Il mio corpo, per contro, il movimento lo ha sempre cercato a costo di entrare in rotta di collisione con i medici che a ogni tachicardia, vertigine o affanno, a mio giudizio chiaramente connessi con qualche incauto sforzo muscolare, mi inserivano prontamente nei protocolli per Disturbo da Attacchi di Panico.

Oggi, è il mio medico di base a ritenere che, data la mia FM, il movimento a me vada sconsigliato.
Solo nel 2006 una reumatologa, dopo avermi visitata, scrive nel referto: “si consiglia approccio riabilitativo previa visita fisiatrica”.Io di fisiatri ne ho visti tre.

Il primo mi ha chiaramente detto che “per la FM – sono parole sue – la riabilitazione classica è del tutto inefficace”.
Il secondo, primario di un reparto di Terapia Fisica e Riabilitazione, ha escluso che la mia riabilitazione possa avvenire nel suo reparto.
Il terzo, consultato privatamente, mi ha messa nelle mani di un fisioterapista che da allora si occupa in qualche modo del mio tratto cervicale navigando a vista.

Se voglio fare del movimento calibrato sulle mie attuali capacità motorie del tutto incompatibili con i programmi e l’organizzazione delle varie palestre più o meno private, devo approfittare della mia insonnia e durante le ore notturne, quando il telefono non squilla, non vengo continuamente interrotta da qualcuno e non ci sono orari tassativi da rispettare, mi allungo con qualche esercizio di stretching, provo a mobilizzare il collo e invento esercizi di potenziamento per questi miei muscoli doloranti. Escluso, ovviamente, qualsiasi esercizio aerobico.

L’ALIMENTAZIONE

Chi non mangia non sta in piedi. A volte anche mangiare cose sbagliate ti fa stare più distesa che seduta.

L’ho dovuto scoprire quando, non sapendo più come affrontare la cefalea tensiva cronica che da 5 anni mi costringeva all’inattività, ho provato a smettere di mangiare il glutine e nel giro di una settimana la cefalea è scomparsa.
E’ successo nel 1996 e da allora se qualche volta ho mal di testa lo devo a qualche influenza, raffreddore o mal di pancia risolti i quali il mal di testa passa.
Anche l’astenia, pian piano si è attenuata, forse non mangiando il glutine o forse non essendo più costretta a subire gli effetti collaterali di antidolorifici, antinfiammatori, ansiolitici, antidepressivi, anticoncezionali ormai non più necessari.
Sì, perchè perfino le mestruazioni si sono regolarizzate non mangiando il glutine.
Ciò nonostante, la presa di distanza da questa mia alimentazione è quasi unanime.
Il problema nasce dal fatto che a suggerirla è stata un’omeopata.
A parte mio marito che ha visto da molto vicino i vantaggi della nuova dieta, gli altri, tutti, l’accettano a patto che io a loro non chieda mai niente, né aiuto, né consiglio, indecisi se considerare il mio come un atteggiamento pseudoreligioso o come un tratto asociale della mia personalità.

L’ ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Dal punto di vista psicologico, sembra siano due le cose che un fibromialgico deve imparare prima di tutto per poter affrontare meglio il quotidiano: imparare a dire no e imparare a chiedere aiuto.

Ma dire no a chi? E chiedere aiuto a chi?

Nel 2003, temendo di dover dire no a mio marito appena dimesso dopo un delicato intervento chirurgico, ho chiesto aiuto ai Servizi Sociali del mio Comune.
I familiari e gli amici, o non sarebbero stati in grado di darmelo, o erano già impegnati con il lavoro o con altri familiari in difficoltà.
Ai Servizi Sociali è subito stato chiaro che, al di là del problema transitorio con mio marito, era la  mia condizione penalizzante nel suo insieme a meritare la loro collaborazione per la definizione di un progetto di più ampio respiro nella prospettiva di un mio recupero sociale.
Già dai loro primi interventi, infatti, è apparso evidente che solo dandomi la possibilità di raggiungere mete appena più lontane di quelle poste sotto casa (io non riesco a guidare e dove risiedo non esistono servizi di trasporto pubblico), dimostravo di essere in grado di svolgere molti più compiti di quanti non si ritenesse e, conseguentemente, anche il mio stato psicofisico migliorava a vista d’occhio.

Rimanevano 2 problemi aperti:

1)    non ero inquadrabile nelle categorie per cui i Servizi Sociali erano autorizzati a erogare prestazioni (disabili, anziani, alcolisti, tossicodipendenti, malati psichici, mamme con figli)

2)    spesso le operatrici, vedendomi alle prese con le mie instabilità, temevano che mi potessi sentire male da un momento all’altro senza che ci fossero indicazioni precise su come comportarsi all’occorrenza.

Dopo lunga riflessione, l’Assistente Sociale decide di chiedere l’attivazione presso il Distretto Sanitario di una U.V.M.D. (Unità Valutativa Multidimensionale Distrettuale) strumento che dovrebbe facilitare l’integrazione dei vari servizi socio-sanitari, per lo meno qui nella Regione Veneto.
L’obiettivo era quello di arrivare a un progetto integrato tra sanitari e Servizi Sociali.
Ma i medici prescrivono quello che trovano “in letteratura”, il territorio è un’altra cosa.
Così anche i Servizi Sociali hanno gettato la spugna e io mi sono ritrovata di nuovo confinata.

IN CONCLUSIONE

Recentemente, ho chiesto al mio medico di base una breve relazione che contenesse dei dati essenziali sulla mia salute di modo da poter spiegare in brevi cenni le mie problematiche nel caso dovessi far ricorso a cure mediche in emergenza per un malore, un trauma o un’infezione improvvisa.
Molti farmaci che ho assunto in passato non dimostravano efficacia su di me e/o avevano effetti collaterali abnormi,  manovre utili per altri su di me provocano cataclismi, le cose che comunemente mangiano tutti a me fanno male, ma niente di tutto ciò è mai stato certificato.
La mia richiesta ha messo in serio imbarazzo il mio medico.
Se la definizione di Fibromialgia può in qualche modo inquadrare quei fenomeni, non è altrettanto capace di dare indicazioni su come agire sui fibromialgici, senza contare che per molti dei medici che potrei incontrare, in urgenza o meno, semplicemente, la Fibromialgia non esiste.
Agli occhi del sistema sanitario io sembro paradossalmente più sana degli altri: non ho limitazioni articolari, non assumo farmaci da tempo immemorabile, le analisi di routine sono sempre regolari, da nessuna parte c’è notizia della mia carente forma fisica.
Dove trovare, allora, le parole che permettano agli operatori di lavorare con me al meglio, senza incorrere in errori evitabili e perciò doppiamente spiacevoli?

Lettera firmata – provincia di Venezia

 


 

RISPOSTE PUNTO PER PUNTO

IL MOVIMENTO

MARCO-CAZZOLA-1 risponde Dr. Marco Cazzola
U.O. di Medicina Riabilitativa Azienda Ospedaliera “Ospedale di Circolo” di Busto Arsizio-Presidio di Saronno

Questa lettera rappresenta una conferma sulla necessità di continuare a lavorare per migliorare il grado di conoscenza circa la sindrome fibromialgica, sia da parte dei Medici di Medicina Generale che degli specialisti di branche diverse dalla Reumatologia.

L’esercizio fisico aerobico, di intensità personalizzata sulle caratteristiche fisiche ed anagrafiche dei pazienti, rappresenta infatti la metodica di trattamento non farmacologico che, in numerosi studi randomizzati e controllati, si è dimostrata maggiormente efficace.

LA DIETA

dott.  Biasi b risponde Dr. Giovanni Biasi
Istituto di Reumatologia, Policlinico le Scotte, Università degli Studi di Siena

Gent.ma signora,
ho letto con attenzione la sua lettera e il fatto che una dieta priva di glutine le abbia consentito di risolvere alcuni problemi, mi ha fatto subito pensare alla possibilità che lei abbia una forma di celiachia. Questa condizione, definita anche enteropatia da glutine, è provocata dall’ingestione di glutine in soggetti che sono geneticamente intolleranti a tale sostanza, con conseguente infiammazione della mucosa intestinale. La celiachia quindi è una condizione digestiva attivata dall’ingestione della proteina glutine, la quale si può trovare in alimenti quali il pane, la pasta, i biscotti, la pizza e ogni altra pietanza contenente frumento, orzo o segale. Anche l’avena può contenere glutine. Quando una persona affetta da celiachia ingerisce alimenti contenenti danneggiamento e la conseguente inabilità ad assorbire certi nutrienti dal cibo.

Classicamente la malattia si manifesta fin dall’infanzia con sintomi da malassorbimento (diarrea, calo di peso, ritaGiovanni BiasiIstituto di Reumatologia, Policlinico le Scotte, Università degli Studi di SienaViale Bracci c/o – 53100 Sienardo di crescita), ma questa forma è piuttosto rara; recentemente invece è stato scoperto che essa è molto frequente anche negli adulti (fino all’1% della popolazione generale), manifestandosi con sintomi molto aspecifici e variegati, non sempre di tipo intestinale.

Infatti nell’adulto non esistono sintomi tipici della celiachia. La maggior parte delle persone affette hanno problemi generici come una diarrea intermittente, dolori addominali o magari possono anche non manifestare alcun problema gastrointestinale. I sintomi della celiachia possono così simulare quelli di altre malattie come colon irritabile, gastriti, coliti, anemia, disordini della pelle o disturbi nervosi, cefalea. La celiachia si può manifestare anche in modi meno ovvi, includendo cambiamenti del comportamento come irritabilità o depressione, dolori articolari o muscolari, crampi muscolari, formicolii agli arti, disordini del ciclo mestruale.

Come vede si tratta di disturbi molto simili a quelli che posso riscontrarsi in una persona affetta da fibromialgia, e quindi è possibile che lei abbia una concomitanza delle due patologie, con sovrapposizione di alcuni sintomi. Però, a fronte di questa “cattiva” notizia, quella “ buona” è rappresentata dal fatto che molti suoi disturbi si siano attenuati o risolti con una dieta opportuna.

Il mio consiglio comunque è quello di rivolgersi a un bravo gastroenterologo, in modo da confermare in maniera accurata questo sospetto diagnostico ed eventualmente instaurare una terapia più adeguata, anche se in realtà la cura migliore è proprio l’eliminazione del glutine dalla dieta.

A conclusione infine le vorrei suggerire anche di prendere atto, con soddisfazione, del suo miglioramento clinico e di “sorvolare” su quelle che lei definisce <<prese di distanza>>, l’importante è STARE BENE!

LA LEGGE

Antonio-Marsico-1 risponde Dr. Antonio Marsico
Ambulatorio di Reumatologia SS Annunziata di Taranto e Ospedale Umberto I di Mottola (TA).

Gentile Signora,
leggo la Sua lettera e ritrovo il disagio comune a molti pazienti fibromialgici che affrontano l’iter burocratico per il riconoscimento di benefici da parte delle Istituzioni pubbliche. Spesso non è solo il medico clinico che non conosce la Fibromialgia a negarne l’esistenza o a sottovalutarne l’entità, ma anche il medico legale o del lavoro. Penso sia utile una brevissima ricognizione sul panorama degli aspetti medico-legali di riferimento.

Ticket

Attualmente la Fibromialgia non è annoverata nell’elenco delle malattie croniche ed invalidanti per le quali è riconosciuto il diritto di esenzione dalla spesa sanitaria1 (DM 329/99, aggiornato con DM 296/01) come per esempio, nell’ambito delle malattie reumatiche, è previsto per l’artrite reumatoide e per l’artrite psoriasica, per le spondiliti o per il lupus.

Alcuni reumatologi e alcuni membri dell’ AISF hanno chiesto ed ottenuto un incontro con i rappresentanti del Ministero della Salute per promuovere l’inserimento anche della Fibromialgia ma a tutt’oggi non vi è stata risposta positiva.

La Provincia Autonoma di Bolzano è invece dal 2003 la prima Provincia sul territorio nazionale ad aver concesso il beneficio dell’esenzione ticket.2

Devo aggiungere che la Fibromialgia è “in buona compagnia”, nel senso che non sono annoverate in questo elenco neanche malattie reumatiche molto diffuse ed invalidanti quali l’artrosi e l’osteoporosi.

Invalidità

Lei ha la possibilità di presentare istanza di Invalidità civile, regolata dalla legge 118/71 3 e forse domanda per i benefici previsti dalla legge 104 4. Devo precisare che la Fibromialgia non è malattia “tabellata”, come del resto molte altre patologie reumatiche e non reumatiche; sarebbe del resto impossibile prevedere tutte le malattie in un unico elenco!

La certificazione medica che lei potrebbe produrre all’esame della Commissione ASL competente per territorio dovrebbe far riferimento non solo alla Fibromialgia ma anche, se presenti, ad altre sindromi tabellate e quindi valutabili percentualmente, spesso associate alla Fibromialgia, come l’ansia e la depressione. La certificazione inoltre potrebbe essere corredata anche da un profilo psicologico.

Lei forse potrebbe anche presentare domanda di Invalidità pensionabile INPS ma solo se assicurata con l’Istituto: la legge di riferimento, la 222/84 5, non prevede tabellazioni di malattia, ma contempla la valutazione di ogni singola patologia e quindi anche della Fibromialgia. Secondo la 222/84, che al momento non sembra suscettibile di modifiche, è invalido INPS l’assicurato la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo. La certificazione medica da presentare è sostanzialmente simile a quella per la Invalidità civile e per la legge 104.

Difficile e remota appare la possibilità che venga riconosciuta una inabilità al 100% sia in ambito civile che pensionabile.

BIBLIOGRAFIA  la legge

1 http://www.handylex.org/stato/d280599.shtml

2 http://www.provincia.bz.it/politiche-sociali/servizi/news.asp?redas=yes&aktuelles_action=4&aktuelles_article_id=59843

3 http://www.handylex.org/stato/l300371.shtml

4 http://www.handylex.org/stato/l050292.shtml

5 http://www.handylex.org/stato/l120684.shtml