Il Congresso Nazionale AISF ONLUS di quest’anno, a cui siete tutti invitati, avrà tra i suoi temi l’approccio psicoterapeutico nella terapia multidisciplinare della Sindrome Fibromialgica. Nonostante gli aspetti psico-affettivi, lo stress e i disturbi psichiatrici in genere non siano compresi nei criteri diagnostici della FM, l’aspetto psicologico della malattia non può essere negato e anzi si mantiene al centro della strategia terapeutica. Abbiamo imparato in questi 15-20 anni quanto sia rilevante nella storia clinica del paziente fibromialgico la presenza di genitori scarsamente accudenti, quanto sia comune un profilo di personalità adolescenziale caratterizzato da bassa autostima e iperattività, quasi allo scopo di dimostrare al mondo quanto valiamo nonostante la bassa considerazione che abbiamo di noi stessi; i traumi vissuti nell’età infanto-giovanile sono i più difficili da eradicare e spesso ci accompagnano per tutta l’esistenza. Il secondo aspetto comune nei pazienti fibromialgici è la difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti o alle incrementate richieste del proprio ambiente familiare, sociale e lavorativo. Non per nulla, molti dei pazienti fibromialgici scelgono un’attività part-time o sono costretti a rinunciare ad una attività lavorativa continuativa. La storia naturale della malattia ci insegna che nella prima fase i pazienti sono sostanzialmente ansiosi e diventano prevalentemente depressi quando i sintomi della malattia riducono grandemente le loro capacità espressive; quando cioè, come spesso dicono, si sentono a traino del mondo e hanno l’impressione di non partecipare e di non contare più nulla.
Non ultimo incide il contatto con una classe medica e sanitaria spesso impreparata a gestire la loro malattia e che fa trasparire l’idea del malato immaginario o, ancora peggio, del lavoratore che non ha voglia di lavorare e che vuol delegare agli altri quello che lui non vuol fare.
Esiste poi un piccolo gruppo di fibromialgici che realmente è affetto da patologie di natura psichiatrica (disturbi dell’umore e d’ansia) per i quali è fondamentale l’approccio psichiatrico, perché in questi pazienti il dolore è uno degli elementi diagnostici da valutare ma non il più rilevante.
Ecco perché non bisogna aver paura dello psichiatra e dello psicologo. Sono figure professionali che possono aiutare grandemente il paziente, sia a capire il perché della propria visione mentale della vita, sia ad apprendere i meccanismi adattativi ai traumi dell’esistenza o alle difficoltà sociali, lavorative e familiari. Molto spesso sarebbe necessario che anche i familiari apprendessero con esattezza cosa è la Fibromialgia per essere in grado di sostenere e non di affossare il proprio familiare affetto da questa persistente e debilitante sindrome.
La psicoterapia si avvale di una moltitudine di possibilità terapeutiche ed essendo basata soprattutto sul rapporto personale psicologo-paziente e non sull’assunzione di farmaci, occorre che il paziente apprenda alla svelta se colui che ha davanti è competente o gli fa perdere tempo e risorse economiche. Il primo principio è stabilire un obiettivo terapeutico, un numero di sedute idonee al raggiungimento di questo obiettivo e con quale tecnica è possibile ottenerlo.
Il trattamento educazionale e quello cognitivo-comportamentale sono quelli maggiormente in auge e sono probabilmente quelli destinati ad aver maggior successo. Altri trattamento più specifici e particolari, quale l’EMDR, sono più orientati alla “digestione” dei traumi rilevanti della propria esistenza.
Spesso l’associazione di psicoterapia e terapia farmacologica è in grado di generare risultati clinici confortanti; il paziente impara a gestire meglio le proprie energie residue, impara a scegliere con più attenzione i valori della propria esistenza; la remissione clinica in questa sindrome, che è sempre più frequente, è solitamente associata ad un cambiamento di personalità che consente al paziente di prendere in mano la propria esistenza senza condizionamenti post-genitoriali o post-traumatici.
È difficile tracciare una strada in questo campo che vada bene per tutti i pazienti; troppi i fattori che condizionano il risultato: la tipologia del paziente, la qualità del terapeuta, il tipo di dolore, la durata della sindrome e le esperienze emozionali e sociali del paziente.
Credo sia importante che il paziente mantenga una disponibilità ai cambiamenti del proprio essere e non si orienti verso approcci miracolistici sperando che un certo farmaco o una certa terapia improvvisamente faccia scomparire tutti i sintomi; pertanto il primo caposaldo della terapia è l’educazione alla malattia e alla sua gestione; il dolore può essere gestito dalla propria mente e il recupero di un equilibrio psico-fisico è spesso l’arma vincente in una sindrome nella quale ancora non abbiamo a disposizione strategie terapeutiche che risolvano in maniera definitiva i sintomi che la caratterizzano.
Piercarlo Sarzi Puttini
Presidente AISF Onlus