Poco più di un anno fa un gruppo di medici esperti nel campo della fibromialgia, facenti capo ad EULAR (Lega Europea Contro i Reumatismi), consegnava alla letteratura scientifica un documento “miliare” per la cura dei malati fibromialgici.
Già nel 2007 lo stesso gruppo aveva prodotto il primo sforzo per arrivare a definire, con una certa veridicità scientifica, le raccomandazioni per la terapia della fibromialgia. Il documento, seppur interessante e innovativo, era comunque risultato ancora troppo basato su documentazioni non del tutto convincenti, soprattutto per quanto riguardava la terapia non farmacologica.
Negli anni successivi molti studi hanno confermato la validità dei farmaci allora segnalati come utili, ma senza sostanziali novità. Ciò che è invece cambiato in modo significativo è il valore di alcune terapie non-farmacologiche da inserire nel trattamento che, come ormai unanimemente riconosciuto, deve essere sempre multidisciplinare.
Le nuove raccomandazioni EULAR 2016 sono state così fermamente costruite sulla medicina basata sull’evidenza.
Alla luce dei nuovi studi il gruppo di esperti ha quindi definito come prima linea nel trattamento di questa sindrome proprio la terapia non-farmacologica, in un progetto da condividere con il malato; solo in caso di fallimento andrebbero introdotti i farmaci.
Quali sono quindi le terapie non-farmacologiche utili nella fibromialgia?
Alcune sono più note e tipiche del mondo scientifico e del nostro mondo occidentale.
Tra queste l’esercizio aerobico e di rinforzo, l’idroterapia e la terapia cognitivo-comportamentale hanno raggiunto la promozione coi massimi voti. Sicuramente utile e da non escludere la possibilità che vi possa essere associazione tra di esse, come per esempio nel caso dell’esercizio aerobico e della terapia psicologica.
La vera novità, forse in controtendenza con le abitudini del mondo scientifico occidentale, è invece rappresentata dall’inserimento di terapie complementari o alternative, forse meno giustificabili secondo i canoni classici della scienza, ma risultate utili nel trattamento dei malati fibromialgici. Così una terapia fisica ben definita come l’agopuntura è diventata uno dei riferimenti della terapia non-farmacologica. Accanto all’agopuntura vi sono, pur se non con l’accordo completo degli esperti, le terapie di movimento e meditazione di estrazione tipicamente orientale come il Qi Gong, il Tai Chi, lo Yoga e la mindfulness che comprende tecniche di meditazione e consapevolezza, atte a catalogare correttamente le positività e le sofferenze.
Gli autori delle raccomandazioni hanno infine voluto proporre ai medici che affrontano nella loro professione la fibromialgia un percorso che parta dalla storia del malato e arrivi al trattamento personalizzato in funzione degli elementi emergenti.
L’ascolto della storia, l’esame obiettivo, gli eventuali approfondimenti diagnostici e il confronto con altri specialisti diventano elementi imprescindibili del momento diagnostico. La diagnosi di fibromialgia, seppure apparentemente non difficile, nasconde insidie pericolose e non può essere banalizzata.
L’informazione e l’educazione diventano il passaggio successivo, in cui il malato deve essere aiutato a raggiungere al meglio la consapevolezza del suo stato e delle sue prospettive. Le terapie fisiche e l’esercizio vanno da subito raccomandati come punto di partenza per un trattamento che andrà quindi personalizzato.
In questo caso le strade suggerite sono strettamente legate ai sintomi prevalenti.
Qualora siano dominanti gli aspetti psicologici (depressione, ansia, catastrofismo, incapacità adattativa) la terapia cognitivo-comportamentale, eventualmente associata a farmaci specifici, è fortemente raccomandata.
Qualora prevalgano dolore e disturbi del sonno il ricorso ai farmaci diventa ineludibile.
Ove infine la disabilità sia severa ed impattante sulla quotidianità fino all’impedimento delle performance lavorative si rende necessario un programma di riabilitazione multimodale, che dovrebbe essere calato “come un vestito” su ciascun malato.
Infine, ma non da ultimo, è giusto ricordare quali siano i farmaci che hanno incontrato da tempo il favore della letteratura scientifica. Essendo la fibromialgia una malattia caratterizzata da dolore cronico muscolo-scheletrico con effetti di sensibilizzazione centrale e amplificazione del dolore, priva di connotati infiammatori, le molecole ritenute utili sono quelle che agiscono sulla neuromodulazione, cioè quelle capaci di modificare le alterazioni indotte dalla malattia a livello dei centri di “smistamento e controllo” del dolore. Tra queste l’amitriptilina a basse dosi, la duloxetina e il milnacipran (farmaco assente in Italia), il pregabalin e il tramadolo (oppiaceo ad azione serotoninergica). Qualche spazio, anche se con un accordo non totale tra gli esperti, viene comunque lasciato anche alla ciclobenzaprina, miorilassante storico nella cura della fibromialgia.
Nel 2017 è quindi iniziata la divulgazione delle nuove linee guida EULAR, allo scopo di dare una visione sempre più multidisciplinare del trattamento della fibromialgia. Proprio da queste basi si auspica possano partire e svilupparsi dei PDTA (Protocolli diagnostico terapeutici assistenziali), che rappresentino finalmente la risposta del Sistema Sanitario Nazionale alle sofferenze delle persone che hanno la fibromialgia come “compagna di vita”.

 

Dr. Gianniantonio Cassisi
Reumatologo ASL1 Belluno, Consigliere AISF ONLUS

 

 

Tabelle Linee Guida EULAR