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Studio italiano sdogana la «ginnastica» per il mal di testa

Il mal di testa è una delle manifestazioni dolorose più comuni al mondo, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità stima che ne soffra ben il 40% della popolazione mondiale. I metodi per alleviare cefalee, emicranie e dolori cervicali sono quindi, manco a dirlo, numerosissimi. Ora uno studio italiano ne suggerisce uno nuovo: la «ginnastica per il mal di testa». Si tratta di una serie di semplici esercizi da eseguire in pochi minuti e che sembrano in grado, quando di non eliminare il fastidioso dolore, almeno ad alleviarlo.

A proporre per prima questi esercizi di rilassamento è stata una ricerca torinese pubblicata nel 2009 sulla rivista Cephalgia. Lo scopo della «ginnastica per il mal di testa» sarebbe quello di sciogliere quei muscoli dalla cui eccessiva e protratta tensione possono nascere i dolori. Lasciare la mandibola semi-aperta, ondulare la testa in alcune particolari maniere, risulterebbe quindi portare beneficio per chi soffre di questi disturbi. Gli esercizi sono stati messi on-line, a disposizione dei cittadini del Piemonte, e in poco tempo si sono raggiunti i quattromila utenti.

«Abbiamo seguito per quattordici mesi 400 dipendenti del Comune di Torino – spiega il coordinatore dello studio, Franco Mongini, direttore della Sezione cefalee e dolore facciale del Dipartimento di fisiopatologia clinica dell’università degli studi di Torino – A distanza di sei mesi abbiamo osservato che coloro che eseguivano gli esercizi avevano circa il 40% di giorni in meno di mal di testa. Tuttavia questo studio aveva una pecca metodologica: i partecipanti non erano stati assegnati casualmente all’uno o all’altro gruppo. Quindi abbiamo avviato un nuovo studio, questa volta su 2.000 soggetti, e i risultati della prima ricerca sono stati confermati».

Stando a quanto rilevato dallo studio, questi esercizi di rilassamento non servono soltanto ad alleviare i dolori alla testa in quanti già ne soffrono, ma avrebbero anche un’azione preventiva. «Nei nostri studi – conclude Mongini – erano presenti anche persone che non avevano alcun dolore. E abbiamo notato che quanti eseguivano gli esercizi presentavano minori probabilità di sviluppare un mal di testa durante i sei mesi della ricerca». 12/01/2010

 

Oppioidi, se usati bene bassi i rischi di dipendenza

Da quando esistono, i farmaci oppioidi sono sempre stati circondati da dubbi, titubanze e pregiudizi. Soprattutto nel nostro Paese, dove la terapia del dolore e le cure palliative hanno faticato ad attecchire, sia tra i pazienti che tra il personale medico è sempre esistita una certa riluttanza alla loro prescrizione. La paura principale è sempre quella: l’eventuale sviluppo di dipendenza al farmaco. Ora, però, uno studio svela che questo rischio è davvero basso se la prescrizione e l’uso dell’oppioide sono appropriati.

«Nonostante non tutti i pazienti traggano sollievo da questi farmaci, e che per altri gli effetti collaterali siano intollerabili, gli oppioidi possono essere considerati sufficientemente sicuri se applicati a certi tipi di pazienti – spiega Meredith Noble, ricercatrice a capo dello studio pubblicato dalla rivista Cochrane Library – Ad oggi non esiste ancora un “consensus”, cioè un largo assenso tra gli operatori sanitari riguardo all’efficacia e la sicurezza degli oppioidi nei pazienti affetti da dolore cronico non-oncologico. Abbiamo così voluto operare una review di una serie di studi che hanno utilizzato questi farmaci e riscontrato i risultati nell’arco di almeno due anni».

Partendo da questi criteri, Noble e il suo team hanno preso in esame 26 studi, per un totale di 4.893 partecipanti. I pazienti avevano già provato trattamenti non a base di oppioidi e terapie fisiche ma soffrivano ancora. É quindi risultato che solo sette pazienti su 2.613 riportati avevano sviluppato una dipendenza o avevano assunto il farmaco in maniera non appropriata. Invece, il 22,9% dei partecipanti ha abbandonato lo studio a causa degli effetti collaterali (come nausea o altri problemi gastrointestinali, mal di testa e disturbi urinari) o per la scarsa efficacia del farmaco nel ridurre il dolore.

«La stragrande maggioranza dei pazienti presi in esame era affetta da mal di schiena cronico, osteoartriti severe o dolore dovuto a danno nervoso – spiega Noble – I risultati di questo studio, quindi, potrebbero non essere confermati per altre categorie di pazienti. Tuttavia, i nostri dati dimostrano che, se applicati a pazienti con una storia di buona aderenza alle terapie e nessun episodio di dipendenza, gli oppioidi possono fornire una considerevole diminuzione del dolore con rischi assai bassi di sviluppo di una dipendenza».

Ma a questa ricerca non sono state risparmiate alcune critiche. «Innanzi tutto bisogna ricordare che il rischio di sviluppare dipendenze non deve essere interpretato come una controindicazione all’uso di oppioidi, ma solo come un avviso a medico e paziente a prestare maggiore attenzione – ha spiegato Alex DeLuca, esperto nel campo – Non mi sorprende, inoltre, l’alto tasso di abbandoni per scarsi risultati tra i pazienti, viste le basse dosi di farmaci a cui spesso venivano sottoposti. Il messaggio che i medici dovrebbero trarre da questo studio è che gli oppioidi, se usati a lungo termine, hanno risultati sicuri e affidabili sul dolore non-oncologico».

É stata pubblicata in Gazzetta ufficiale l’ordinanza del viceministro alla Salute Ferruccio Fazio che semplifica la prescrizione di farmaci oppiacei in Italia. In vigore fino all’approvazione di nuove norme e comunque «non oltre i dodici mesi», il provvedimento riguarda e fa riferimento all’elenco contenuto nell’allegato della apposita legge (309/90).

I farmaci maggiormente interessati dall’ordinanza sono:

  • composizioni per somministrazioni ad uso diverso da quello parenterale contenenti codeina e diidrocodeina in quantità, espressa in base anidra, superiore a 10 mg per unità di somministrazione o in quantità percentuale, espressa in base anidra, superiore all’1% p/v (peso/volume) della soluzione multidose;
  • composizioni per somministrazione rettale contenenti codeina, diidrocodeina e loro sali in quantità, espressa in base anidra, superiore a 20 mg per unità di somministrazione
  • composizioni per somministrazioni ad uso diverso da quello parenterale contenenti fentanyl, idrocodone, idromorfone, morfina, ossicodone e ossimorfone
  • composizioni per somministrazioni ad uso transdermico contenenti buprenorfina.

Mentre sono espressamente esclusi dalle disposizioni dell’ordinanza i composti a base di metadone e buprenorfina ad uso orale.

Come già stato abbondantemente anticipato, la principale novità del provvedimento consiste nella possibilità di dispensare i suddetti farmaci dietro semplice presentazione di ricetta medica non ripetibile o normale ricetta Ssn. In entrambi i casi la ricetta è valida trenta giorni, e non serve il buono-acquisto. Per le prescrizioni in regime privato non si applica il limite prescrittivo per una cura di durata non superiore a trenta giorni. Invece, per le prescrizioni in regime di Ssn resta ferma la possibilità di prescrivere in un’unica ricetta un numero di confezioni sufficienti a coprire un terapia massima di trenta giorni.

Presenti anche alcune specifiche per i farmacisti, che non dovranno più registrare i farmaci in entrata e in uscita, né tenerli obbligatoriamente in un armadio chiuso a chiave. Quelli scaduti devono essere scaricati dal registro e smaltiti con le ordinarie procedure. 19/01/2010

 

Umore e respirazione lenta possono lenire il dolore

Respirare lentamente aiuta a diminuire il dolore, e non di poco. A svelarlo è una ricerca del Barrow neurological institute del St. Joseph’s hospital and medical center, che ha condotto una ricerca su pazienti affetti da dolore cronico. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Pain, hanno mostrato che una buona e lenta respirazione ha significativamente diminuito il dolore sia in soggetti sani che affetti da fibromialgia.

Arthur Craig, autore della ricerca, insieme ad alcuni collaboratori del dipartimento di psicologia dell’ Arizona State University, ha selezionato alcuni partecipanti, in parte sani e in parte affetti da fibromialgia. I soggetti sono quindi stati sottoposti ad uno stimolo di calore moderatamente doloroso al palmo della mano, prima mentre respiravano normalmente, e poi chiedendo loro di diminuire la frequenza di respirazione del 50%. Ai partecipanti è stato quindi chiesto di quantificare con un numero questi tre parametri: intensità del dolore, fastidio che questo comportava e l’impatto dello stimolo doloroso sul loro umore.

I risultati hanno dimostrato che, nei soggetti sani, tutti e tre i valori risultavano minori durante una respirazione più lenta. Nei malati di fibromialgia, invece, questo si riscontrava solo quando era positivo il terzo valore, ovvero quando i partecipanti dimostravano un atteggiamento tutto sommato positivo nei confronti dello stimolo doloroso.

«Questa ricerca – scrivono i ricercatori – è un’ulteriore conferma dell’importanza di mantenere uno stato d’animo positivo quando si affronta il dolore. Inoltre, potrebbe dare il primo solido supporto scientifico a quelle osservazioni che, negli anni passati, hanno rilevato come chi pratichi discipline zen o yoga riesca a diminuire il dolore e ad alleviare la depressione». 27/01/2010

Fonte: Salute La Repubblica