Fibromialgia: fine della sindrome «invisibile»?

Raccolte nuove prove sul legame tra i sintomi della malattia e alterazioni funzionali a livello cerebrale

La fibromialgia si fa sentire e ora anche «vedere». Utilizzando una particolare apparecchiatura diagnostica, la tomografia computerizzata a emissione di fotoni (Spect), ricercatori francesi sono infatti riusciti a individuare alcune anomalie funzionali in alcune regioni del cervello dei pazienti con una diagnosi di fibromialgia, rinforzando l’idea che i sintomi della malattia siano legati a una disfunzione nelle aree del cervello coinvolte nella percezione del dolore.

CENTRO DEL DOLORE – Nello studio, pubblicato di recente sul Journal of Nuclear Medicine, sono state considerate una trentina di donne, 20 con una diagnosi di fibromialgia e 10 sane che hanno rappresentato il gruppo di controllo. Tutte le partecipanti sono state sottoposte alla Spect. E’ stato inoltre chiesto loro di compilare un questionario per determinare i livelli di dolore, disabilità, ansia e depressione. Analizzando i dati raccolti i ricercatori hanno potuto appurare che le pazienti con fibromialgia presentavano delle anomalie nella perfusione (circolazione) di sangue a livello cerebrale rispetto alle compagne del gruppo di controllo. Queste anomalie sono risultate direttamente collegate alla gravità della malattia. In particolare è stato individuato un aumento della perfusione nella regione cerebrale coinvolta nella discriminazione dell’intensità del dolore, mentre una diminuzione della perfusione è stata evidenziata nella zona verosimilmente coinvolta nella risposta emotiva al dolore.

IPOTESI – «La fibromialgia viene spesso considerata una sindrome invisibile perché l’imaging muscoloscheletrico è negativo – premette Eric Guedj, il coordinatore dello studio -. Tuttavia già in passato grazie all’impiego di tecniche diagnostiche strumentali era stato possibile evidenziare delle anomalie nella circolazione sanguigna a livello cerebrale. Cosa che abbiamo confermato nel nostro studio mettendo in relazione con analisi statistiche i dati della Spect con le informazioni raccolte su dolore, disabilità, ansia e depressione». Non solo, lo studio confermerebbe che il dolore riportato dalle pazienti con fibromialgia non è la conseguenza di un’eventuale depressione, ma l’espressione di una malattia a sé. Le anomalie funzionali evidenziate dai ricercatori francesi sono infatti risultate indipendenti da stati d’ansia e depressione.

CONSEGUENZE – Secondo i ricercatori francesi la Spect potrebbe rivelarsi utile per prevedere la risposta a uno specifico trattamento contro la fibromialgia, consentendo di valutarne gli effetti sul cervello. In pratica, dopo aver impostato una cura mirata, si potrebbero controllarne nel tempo gli effetti non solo valutando il miglioramento dei sintomi direttamente con la paziente, ma anche misurando cosa accade a livello cerebrale con la Spect.

Antonella Sparvoli 01 dicembre 2008

 


 

La fibromialgia è una vera malattia?

Ora uno studio dimostrerebbe che in questi «pazienti» la soglia del dolore è più bassa

«Ballavo il tango, ora posso a malapena lavorare. Non sono pazza o stressata, ho la fibromialgia: un dolore continuo con cui devo convivere».

È il racconto di Anna, una lettrice che ci ha scritto sul canale di reumatologia di www.corriere.it, il sito online del Corriere della Sera. Le lettere di Paolo sono di tutt’altro tenore: «Ho creduto per un anno di avere la fibromialgia, sobbarcandomi terapie costose senza risultato. Oggi penso che una malattia di cui non si conoscono le cause, per la quale non esiste un test specifico è una malattia inventata a tavolino per vendere farmaci». In effetti la fibromialgia, chiamata da alcuni l’isteria del ventunesimo secolo (colpisce soprattutto le donne), pare averle tutte per far dubitare della sua esistenza: oltre al dolore diffuso è caratterizzata da disturbi che tantissimi prima o poi hanno, come stanchezza, insonnia, mal di testa; nessuno sa spiegarsene l’origine; le radiografie e gli esami del sangue sono nella norma e la diagnosi si fa sulla base di sintomi riferiti dal paziente, che non si possono misurare. Basta per liquidarla come malattia che non c’è? Forse no, perché esistono anche prove di segno opposto: stando ad uno studio appena uscito sul Journal of Nuclear Medicine, nei fibromialgici ci sono anomalie del flusso di sangue in zone del cervello che riconoscono l’intensità del dolore.

«In queste persone la soglia del dolore è più bassa — conferma Piercarlo Sarzi Puttini, presidente dell’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica — e quando c’è dolore, il cervello attiva meccanismi di compenso (rigidità, alterazioni del sonno, modificazioni della sensibilità) che possono diventare cronici». Che cosa rispondere a chi pensa che la fibromialgia nasca dalla mente? «Le vie nervose della percezione del dolore e del tono dell’umore hanno molto in comune — osserva Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Psichiatria del Fatebenefratelli di Milano — . Così ansia e depressione sono spesso correlate alla fibromialgia o, addirittura, la precedono. La diagnosi è difficile perché altri disturbi possono sovrapporsi e va fatta per esclusione, ma la fibromialgia esiste». Sicuri che non ci siano dietro le mire delle aziende farmaceutiche? «I medicinali usati per la fibromialgia sarebbero venduti comunque», risponde Sarzi Puttini. Sono per lo più antidepressivi, non è difficile crederlo. Ed è vero che nel 1990 l’American College of Rheumatology ha stabilito i criteri per la diagnosi (che però qualcuno critica) e due anni dopo l’Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto la fibromialgia come malattia. Ma in Italia i farmaci non sono rimborsati.

Elena Meli 07 dicembre 2008

 


 

Il dolore non dà tregua? Dormiteci su

Il sonno ristoratore «guarisce» dal dolore muscoloscheletrico cronico

Muscoli e ossa doloranti, nulla sembra funzionare. Ma la soluzione potrebbe essere tanto semplice quanto una buona dormita: secondo uno studio pubblicato su Rheumatology, chi riesce a garantirsi notti di sonno ristoratore risolve più spesso il problema del dolore cronico.

ASSOCIAZIONE – I dati arrivano dall’EPIFUND Study (EPIdemiological study on FUNctional Disorder ), una ricerca promossa dall’Arthritis Research Campaign britannica. I ricercatori sono partiti dalla considerazione che il dolore cronico diffuso, ovvero la fibromialgia, si associa solitamente a una scarsa qualità del sonno: hanno perciò voluto verificare se un sonno di buona qualità, viceversa, possa predire la risoluzione del dolore. Per capirlo sono stati coinvolti 1.061 pazienti che sono stati seguiti per 15 mesi; all’inizio dello studio sono stati valutati numerosi parametri relativi al sonno attraverso la Estimation of Sleep Problems Scale, che misura fattori come la capacità di addormentarsi, i risvegli notturni e quelli precoci, se e quanto il sonno è ristoratore. Al termine, il 44 per cento dei pazienti non soffriva più di dolori cronici; analizzando i loro dati, gli autori hanno verificato che la probabilità di dire addio al dolore si associava alla presenza di un sonno riposante e ristoratore, abbastanza lungo e non «disturbato».

RILASSAMENTO – «La correlazione fra sonno e fibromialgia è tanto reale che il primo consiglio da dare a tutti i pazienti è proprio quello di recuperare un sonno adeguato», conferma Stefano Coaccioli, responsabile dell’Unità di Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera S. Maria di Terni. «La fibromialgia, ovvero il reumatismo extra articolare, è il problema più diffuso fra i nostri pazienti, ancora di più dell’artrosi. E uno dei sintomi funzionali più spesso associati a questa condizione è proprio il sonno disturbato: ecco perché per prima cosa bisogna cercare di riacquistare e mantenere un sonno adeguato e ristoratore. Per sonno ristoratore si intende quello in grado di indurre un rilassamento muscolare consistente, tale per cui al mattino ci si sveglia riposati e in condizioni di affrontare al meglio la giornata: il segreto della risoluzione dei dolori, infatti, è proprio nel “riposo” notturno dei muscoli». C’è di più: il sonno poco ristoratore si associa spesso anche alla depressione, che non fa che peggiorare le condizioni di chi soffre di dolori cronici. «Tanto che nei pazienti con fibromialgia si usano spesso gli inibitori della ricaptazione di serotonina impiegati solitamente anche come antidepressivi: nel dolore di tipo neuropatico caratteristico della fibromialgia, infatti, è coinvolto il triptofano, un aminoacido importante proprio per la sintesi della serotonina, il mediatore cerebrale del tono dell’umore», spiega Coaccioli. Il sonno perciò è al centro di una complessa rete di ingranaggi che possono acuire i sintomi dolorosi: garantirsi un riposo notturno adeguato, quindi, è indispensabile per iniziare a stare meglio.

Elena Meli 23 gennaio 2009

 


 

Fibromialgia: chi lavora mantiene la salute

Continuare a svolgere le proprie mansioni avrebbe ricadute positive su stanchezza e depressione

Il lavoro giova alla salute della donne con fibromialgia. Pare infatti che l’impegno professionale non solo non abbia implicazioni negative sulla malattia, ma addirittura che possa contribuire al mantenimento dello stato di salute nel tempo. E’ quanto emerso da uno studio pubblicato sulla rivista Arthritis & Rheumatism. Promettenti anche i risultati di un altro studio sulla malattia, pubblicato sulla stessa rivista, riguardante l’impiego sperimentale del sodio oxibato, un farmaco normalmente usato in disturbi come la narcolessia. La ricerca segnala che questo medicinale migliora il sonno e attenua i disturbi dei fibromialgici.

LAVORO E SALUTE – Nel primo studio, coordinato da ricercatori dell’Università del Connecticut, negli Usa, sono state coinvolte 241 donne affette da fibromialgia mediamente da quasi 5 anni, metà delle quali lavoravano. Le pazienti sono state seguite per cinque anni e interpellate ogni 12 mesi attraverso un questionario specifico. Nei cinque anni di osservazione, i ricercatori hanno riscontrato che rispetto alle casalinghe le donne lavoratrici avevano avuto benefici su più fronti – stanchezza, funzionalità e depressione – anche se il dolore era rimasto una costante. Non è invece emerso nessun effetto preventivo del lavoro nei confronti della malattia. «Questi risultati suggeriscono che le donne con fibromialgia possono continuare a lavorare senza conseguenze negative sulla loro condizione – osservano i ricercatori americani -. Il nostro consiglio è quello di tenersi stretto il proprio lavoro a tutto vantaggio del proprio stato di salute nel tempo». «Mantenere una vita attiva sicuramente giova a chi soffre di fibromialgia sia sul fronte dell’umore sia su quello della funzionalità – conferma Laura Bazzichi, coordinatrice del Centro per la fibromialgia e la fatica cronica della Clinica reumatologica dell’Università di Pisa -. Ci sono, però, anche dati che segnalano che difficoltà sul lavoro possono influenzare negativamente la malattia. Per il paziente può infatti essere molto frustrante realizzare di non essere più in grado di svolgere tutte le proprie mansioni».

TERAPIE SPERIMENTALI – Continuando a lavorare ci sarebbe quindi solo da guadagnarci, ma è pur vero che la fibromialgia mette spesso chi ne soffre «fuori combattimento», rendendo difficile lo svolgimento delle diverse attività. Tuttavia qualche barlume di luce si comincia a intravedere anche sul fronte delle cure, anche se ancora non esiste un farmaco risolutivo. Tra le terapie sperimentali rientra anche il sodio oxibato che pare dare sollievo dal dolore e migliorare la funzionalità complessiva in chi soffre di fibromialgia. Almeno così suggerisce un altro studio, su più di 150 pazienti, pubblicato sulla rivista Arthritis & Rheumatism. Rispetto al placebo, il sodio oxibato ha migliorato la qualità del sonno dei pazienti e attenuato i disturbi. Buona anche la tollerabilità: pochi infatti gli effetti collaterali associati al medicinale. «Stiamo sperimentando anche noi questo farmaco con risultati molto incoraggianti – segnala la dottoressa Bazzichi -. Nella fibromialgia c’è un’alterazione della qualità e della quantità del sonno e il sodio oxibato, attualmente registrato per l’uso nella narcolessia (un disturbo caratterizzato da eccessiva sonnolenza diurna) contribuisce a ristrutturare il sonno e a migliorarne la qualità. L’unico inconveniente è che per ora va preso due volte durante la notte».

Antonella Sparvoli 06 febbraio 2009